Auguri alla Malvasia delle Lipari

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21/06/2023

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1973 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

Malvasia delle Lipari

Disciplinare: Approvato DOC con D.P.R. 20.09.1973 (G.U. 28 – 30.01.1974)

Regione: Sicilia

Provincia/e: Messina

Enoregione/i:ISOLE

Tipologie: “Malvasia delle Lipari”, “Malvasia delle Lipari passito”, “Malvasia delle Lipari liquoroso”

Vitigno/i: Malvasia di Lipari massimo del 95% – Corinto nero dal 5 all’8%

Cenni storici e/o geografici: Le isole furono colonizzate dai Greci, intorno al 580 a.C.; essi chiamarono le isole Eolie poiché ritenevano che fossero la dimora di Eolo, dio dei venti. Ritrovamenti a Lipari di monete antiche (V-IV sec. a.C.) recanti l’immagine di tralci e di grappoli testimoniano le antiche origini e l’importanza economica della viticoltura in questa zona geografica. Lo storico Diodoro Siculo parla di una colonia greca, che nel 588-577 a.C. avrebbe importato a Lipari un vitigno che prese il nome di Malvasia, ma non si è certi che tale vitigno sia l’attuale Malvasia di Lipari. Una delle prime testimonianze della produzione vitivinicola delle Eolie è di A. Bacci che nel 1596 afferma che “…l’isola di Lipari è sparsa di fecondi colli, che per l’interno calore del suolo danno un vino sincero…”. Si riferiscono a questo vino e alla cultivar diffusa nell’arcipelago il conte Odart (1859) ed il Barone Mendola di Favara (1868). Nel 1890 Guy de Maupassant nella sua “La vita errante” descrive l’isola di Salina ed il suo vino così “mentre tornavo, avevo scoperto dalla barca un’isola nascosta dietro Lipari. Il battelliere la chiamò Salina. Lì si produce il vino di Malvasia. Volli bere… una bottiglia del celebre vino… . E’ proprio il vino dei Vulcani, denso, zuccherato, dorato …”. Nel 1900 il vino fu presentato all’esposizione di Parigi dove ricevette un premio. Nel 1933 fu portato alla prima “mostra dei vini tipici di Siena”, dove fu definito “d’aroma squisito”. La zona geografica delimitata dal disciplinare comprende tutto il territorio dell’arcipelago delle isole Eolie, costituito da sette isole tutte di origine vulcanica e che nel 2000 sono state proclamate patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. La Malvasia di Lipari è una cultivar appartenente al gruppo delle Malvasie, antichi vitigni di discussa origine. Il nome deriva dalla città greca del Peloponneso Monembasi, Menemvasia o Monovaxia (cioè porto con una sola entrata). Per quanto riguarda l’origine della Malvasia attualmente diffusa nelle isole Eolie, si possono formulare alcune ipotesi: il vitigno potrebbe essere stato introdotto dai Micenei, che nel XVI-XIV sec. a.C. ebbero stretti rapporti con le popolazioni dell’arcipelago eoliano; la cultivar potrebbe essere stata introdotta, insieme ad altre, da Greci Cnidi che nel 1580 a.C. colonizzarono le isole Eolie. Cupani la descrive nel suo Hortus Catholicus con il nome di Malvagia. Notizie della sua coltivazione ci vengono dal barone Mendola (1868) che ne esalta il vino “color di zecchino, profumato, soave e gagliardo, che più invecchiando in bottiglia più migliora…”. Il Corinto Nero è un vitigno originario della Grecia, presente in tutto il Mediterraneo. Cupani lo descrive nel suo Hortus Catholicus e nel Panphyton Siculum e parla di Corinto appassito al sole indicandolo come “Passulina del nostro regno”.

 

Prodotto: BUCCELLATO (PAT)

Descrizione: Dolce natalizio assai popolare e di origine antica, che deriva il suo nome dal tardo latino buccellatum, «pane militare», che a sua volta viene da boccella cioè «boccone». Il buccellato si prepara anche in Liguria (con l’uvetta, le noci e i pinoli), in Toscana (con la scorza di limone e i semi di anice), nelle Marche (con l’olio di oliva) e in Molise (dove si chiama pigna o piccilato) e in Calabria (pane rituale del Corpus Domini, detto anche guccijata). Ma quello siciliano è particolarmente ricco negli ingredienti e spesso, come nella ricetta di Salaparuta, nelle decorazioni. La sfoglia è a base di farina, burro, zucchero e marsala. Il ripieno è composto di fichi secchi, uva passa, uvetta sultanina, mandorle, pinoli, scorzetta di arancia, zuccata, chiodi di garofano e pepe finemente tritati e mescolati con un po’ di zucchero. Si dà al tutto la forma di una grossa ciambella spennellata con rosso d’uovo, s’inforna per circa venti minuti e si decora con zucchero a velo, glassa bianca, pezzetti di pistacchio o frutta candita. Nomi (picciddatu, purciddata, cucciddatu), fogge e pezzature (quando sono molto piccoli si chiamano cosi chini) possono cambiare nelle diverse contrade. A Calatafimi e a Vita, in provincia di Trapani, sono pani modellati a forma di corona e intagliati attraverso una tecnica di lavorazione che si tramanda di padre in figlio dal Seicento (Cuccidati di Calatafimi o Cuccidati di carrozza, PAT). A Scicli invece, nel Ragusano, il cucciddatu scaniatu è una ciambella compatta e friabile, che in origine veniva realizzata per i bambini rimpastando gli scarti della lavorazione del pane con caciocavallo grattugiato, pepe, strutto, ricotta e salsiccia.

 

Piatto: SFOGLIO (O SFOGGHIU O SFUAGGHIU) DELLE MADONIE (PAT)

Descrizione: Chiamata anche «sfoglio polizzano», è un’antica torta inventata nel Seicento dalle monache benedettine di un convento di Polizzi Generosa, in provincia di Palermo, per festeggiare la festa del loro santo protettore. Uno strato esterno di farina, zucchero e tuorli d’uovo (le dosi di zucchero e uova variano secondo il grado di dolcezza e morbidezza desiderato), strutto (o burro) e marsala, racchiude un ripieno di tuma (formaggio molto tenero e non ancora salato), zucchero, chiare d’uovo, cannella, cioccolato a scaglie e zuccata tagliata a pezzetti. Si ricopre con un’altra sfoglia, chiudendo bene i bordi, e si inforna a 180° C per circa un’ora. Va gustata fredda il giorno dopo, cosparsa di zucchero a velo.

 

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