Gravner: purista con una causa

18/12/2019

Alcuni vini vincono concorsi internazionali. Alcuni, altrettanto squisiti, non partecipano neanche – semplicemente non hanno bisogno di medaglie per essere vincitori. Quelli sono i vini che prima di tutto esprimono fedeltà al loro territorio e incarnano l’impegno dei viticoltori a rifiutare il compromesso nel perseguimento dell’eccellenza. Tali vini e le persone che li modellano saranno al centro della nostra storia. Come riconoscere l’apice di ciò che la vigna, l’annata e l’ enologo possono creare? Anche il prezzo conta? Si, conta, quindi lasciamolo da parte. Ma il vino ha anche un valore che non può essere espresso in numeri. Non è una questione di più o di meno. È una questione di completezza. Cosa sono i tratti condivisi delle opere d’arte del vino? Gradiente di colore: se l’uva è matura e il vino è invecchiato per un certo numero di anni, il colore non è mai acquoso. La sua profondità e intensità trasmettono una sensazione di saturazione e traslucenza cristallina. Non è necessariamente giallo oro o quasi nero, ma deve essere accattivante e pieno. Al naso la varietà non è sempre in prima linea, semplicemente non lo può essere perché un’eccessiva maturazione e anni di invecchiamento hanno trasformato gli aromi primari. Generalmente i vini straordinariamente seri sono miscele, dove ogni varietà contribuisce alle sue caratteristiche più determinanti. Ad ogni modo, le sensazioni predominanti saranno quelle di stravaganza e opulenza. La persistenza degli aromi è la chiave, con profumi persistenti che spesso appaiono esotici, intrecciati e strutturati. Al palato calore e morbidezza dovrebbero esprimersi chiaramente. Se c’è un pizzico di durezza (astringenza) o acidità, questo indica un potenziale di longevità. Quando la maturità è ottimale, nessuna delle due sensazioni sarà spiacevole. Nel complesso, le impressioni non dovrebbero apparire monodimensionali ma piuttosto elaborate, stratificate,  equilibrate ed eleganti, suscitando un effetto debitamente sperato di perfetta armonia.

Joško Gravner è un “purista con una causa” (i puristi sono un gruppo di circa 1928 viticoltori della Stiria che hanno rifiutato l’uso di agenti enologici o altri additivi, compreso lo zucchero, prediligendo vini rigorosamente secchi). La sua "stanza da degustazione" non presenta nessuno di quegli elementi di di prestigio o design che si incontrano così frequentemente tra i viticoltori di fama. Wine Spectator nel 2017 l’ha classificata tra le 100 più importanti cantine in Italia. Io ricordo qualcuno che anni fa diceva scherzando "Joško Gravner comprerebbe una nuova attrezzatura da cantina prima di un letto in cui sdraiarsi". Parole semplici, che rivelano volumi sull’uomo e la sua missione. Sul suo muro un grande ed eclettico trittico di David Benati, “Doppio oppio” su carta di riso, attira lo sguardo e costringe la mente verso una natura sovraccaricata e incatenata dalle nostre macchinazioni. Un altro pezzo audace è lo splendido camino in pietra, fonte di un accogliente calore.

I vini stanno già aspettando. Una temperatura di 14° C si adatta meglio a loro. Hanno trascorso un anno nel kvevri (grandi otri di terracotta originari della Georgia), sei in grandi botti di legno, per un totale di sette anni di invecchiamento. Un numero da favola? Anche, ma non solo. "Devi scegliere un’unica strada ", dice con chiarezza concreta. Le sue risposte sono ampie e approfondite, ma senza l’obiettivo di imporre le sue convinzioni. Ricordo la French Wine Academy che insegnava che le viti sono considerate giovani fino al loro settimo anno di età e i loro vini di breve durata. Quattro volte sette è uguale a ventotto e così fa la somma dei numeri tra uno e sette!

Una coincidenza matematica? Gravner afferma che simili invecchiamenti garantiscono ai vini – come alle persone – sostanza e maturità. Quest’anno, il periodo di sette mucche magre e brutte gli è costato quattro quinti del prodotto, eppure sembra essere stoicamente abituato: "Ciò che conta è la foresta e non solo gli alberi". Normalmente, quando il raccolto è abbondante, ricava solo duecentocinquanta ettolitri di vino dai suoi quindici ettari di terra. "Non potresti produrne di meno?", lo stuzzico sfacciatamente, provocando risate indulgenti.

Il suo rispetto per il suolo e la vite si riflette anche nel design delle etichette. Nella sua mente, senza dubbio, la chiave per un vino fenomenale sta nella vigna ed è lì che passa la maggior parte del suo tempo. Ora pianterà solo i suoi innesti di due anni, perché considera troppo frettolosi i metodi e le pratiche di innesto dei vivai. La pressatura non è pneumatica ma piuttosto della vecchia scuola. Nessuna diraspatura, nessun macchinario di raffreddamento, niente acciaio inossidabile, nessun agente chiarificante, nessuna filtrazione, nessuna selezione di lievito. Solo il kvevri (dal 1997) e le botti di legno.

È così coerente da rifiutarsi di installare nella sua cantina gli obbligatori sensori elettrici di biossido di carbonio, sbottando: "Farò con i miei tempi, se è quello che serve!". Dal momento che la raccolta tende a trascinarsi oltre il giorno di San Martino ("niente è meglio dell’uva stramatura") e questo significa i kvevri non fermentano mai contemporaneamente, il pericolo è in effetti minimo. "I burocrati otterranno le loro multe, perché si preoccupano poco dei fatti", afferma con enfasi.

Nei suoi vigneti non c’è traccia di fertilizzante artificiale da venticinque anni. Quando un bottaio controllò i suoi barili, rimase incredulo nel vederli privi di crema di tartaro. Come può essere? Direttamente dalla bocca del cavallo: “Zero fertilizzanti NPK, uva molto matura e steli ossificati, macerazione nel kvevri, invecchiamento prolungato. Cos’altro?”. Tutto il processo è impostato sulla produzione biodinamica di uva e di vino. Piccole ma essenziali dosi di zolfo rimangono una necessità sgradita per garantire un impeccabile risultato. E la qualità, come diceva suo padre, è ciò su cui si basa tutto il resto. Ma oggi Joško pensa che non sia più sufficiente ed ha affidato marketing e vendite alla figlia Mateja, nonostante creda che il suo target di mercato continuerà ad essere sempre relativamente piccolo, un gusto acquisito.

Joško Gravner è sempre stato un pioniere dell’enologia, con i suoi tini d’acciaio, le barrique o il kvevri. Coerentemente è ora è impegnato in un altro nuova idea. Tra poco nei suoi vigneti coltiverà esclusivamente Ribolla Gialla e Pignolo. Il primo vitigno ha già mostrato i suoi meriti, mentre il raro Pignolo ("tannini malvagi", dice), a malapena salvato dall’estinzione, d’ora in poi sarà il suo protagonista rosso, che Joško considera una varietà impegnativa ma straordinariamente promettente per vini di lunga vita.

Stare davanti al gruppo non è per gli schizzinosi. Questo uomo è certamente dotato di quattro grandi virtù: il coraggio di allontanarsi dal sentiero, la resistenza alle avversità, la generosità e il perdono e infine  la lealtà, avendo consacrato la sua vita al Ribolla. Lui, che ha appassionatamente "baciato" la vite,  non si fermerà mai! (di Dušan Brejc, Ambasciatore sloveno delle Città del Vino)

• Foto: Marijan Mo?ivnik (ritratto), Studio Ajd (wine bottle)

• Traduzione dal serbo in inglese: Marko Ipavec

• Traduzione dall’inglese in italiano: Alessandra Calzecchi Onesti

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