Prosegue la nostra panoramica delle 92 enoregioni italiane.
Nella Regione Marche è possibile individuare quattro enoregioni: Costa Anconetana, Colline Centrali, Colline Pesaresi, Piceno.
COSTA ANCONETANA
Risalgono ai Greci e agli Etruschi le prime pratiche enologiche nelle Marche. Plinio il Vecchio riservò una parte della Naturalis Historia alle bevande del versante adriatico, i monaci Benedettini raccontano di cure mediche con il prodotto delle uve del Monte Cònero e persino Giacomo Leopardi gli dedicò alcuni versi. In seguito la presenza di aziende agricole di lunga tradizione e le residenze storiche costruite con pianterreno destinato alla trasformazione delle uve hanno favorito la produzione di rossi di grande qualità. Il promontorio che si erge sull’Adriatico e le colline che ne discendono verso l’entroterra sono caratterizzate da clima temperato e terreni differenti, con le marne calcaree delle propaggini del monte, le argille marnose di Camerano e Osimo e le sabbie della zona di Offagna. Tutta l’area fa parte del Parco Regionale del Cònero, dove il paesaggio tipico della macchia mediterranea alterna campi, boschi, laghetti e torrenti. Il nome viene da un suo antico prodotto autunnale, il corbezzolo o ciliegio marino (komaròs in greco antico) ed è stato definito il “parco vigneto”, tanto è predominante la vite sulle pendici di questo monte che precipita verso il mare con pareti rocciose di colore rossastro. I rilievi costieri e le colline che da Senigallia si estendono fino al versante meridionale del promontorio ospitano vigneti specializzati che, favoriti dalle brezze marine, danno origine ai tre vini caratterizzanti la più piccola delle enoregioni marchigiane.
Vini locali. Sia il Cònero docg che il Rosso Cònero doc, vini eleganti di fama recente, utilizzano in prevalenza uve di montepulciano che gli conferiscono colore rosso rubino-granato, profumi intensi e vinosi che sanno di frutta rossa matura e note speziate, sapore secco e di corpo. Ma mentre l’uvaggio del secondo vino prevede l’impiego di altri vitigni a bacca nera non aromatici, il disciplinare del primo, un vino più maturo e strutturato, permette l’aggiunta solo di uve sangiovese. Quando è più giovane, fruttato e tendenzialmente tannico, l’abbinamento è con cibi grassi, aromatici, anche a tendenza dolce, come lo stoccafisso all’anconetana, i salumi marchigiani, il pecorino di fossa; quando è più maturo e morbido con primi piatti di pasta ripiena o condita con salse rosse, arrosti di carni rosse, cacciagione, brasati. Il Lacrima di Morro d’Alba doc, prodotto con le uve dell’omonimo vitigno, di montepulciano e di verdicchio, ha colore rosso rubino carico, profumo intenso di violetta, sapore morbido e caratteristico, di medio corpo e da bere giovane, preferibilmente con carni di vitello e maiale e formaggi semiduri. E’ disponibile anche nella tipologia Superiore, dal sapore secco e l’odore intenso con sentori fruttato-floreali, e in quella Passito, un vellutato vino da dessert e da meditazione dove sono più evidenti i sentori di rosa e di viola e la nota di amaro tipico del vitigno lacrima in giusto equilibrio con il sapore dolce derivante dall’appassimento.
Piatti e prodotti tipici. L’olio extravergine d’oliva marchigiano – dal retrogusto di mandorla e delicate note erbacee e sapore fruttato di media intensità – proviene da un patrimonio storico di cultivar assai differenziato: raggia, frantoio, leccino, carboncella, rosciola, muraiolo, pendolino e altre varietà locali come il sargano di fermo, che alcune aziende lavorano ancora con l’antico sistema delle macine a pietra. Molte le specialità come il mosciolo (mitile simile alla cozza), cipolla di Suasa, salame di Fabriano (tutelato dal Presidio Slow Food), lonzino di fico (impasto di fichi essiccati al sole, mandorle e noci, sapa e mistrà, ben pressato, avvolto in foglie di fico, legato come un salame e conservato in fresche cantine), sapa, miele di melata del Parco del Conero, lavanda e piante officinali. Allo stoccafisso all’anconetana, che si mangia alla vigilia di Natale insieme al brodetto di pesce, è dedicata addirittura un’Accademia; la tradizione suggerisce due accorgimenti: appoggiare il primo strato di stoccafisso su una griglia di rametti di rosmarino senza foglie o di bambù per impedire al pesce di attaccarsi sul fondo e servire il piatto 12 ore dopo la cottura. Il potacchio è una cottura in umido tipica della cultura gastronomica regionale, che con numerose varianti (sostituzione del pepe con il peperoncino e del vino bianco con il vino rosso, aggiunta di filetti di acciughe dissalati, pomodori, lardo tritato, salvia e finocchio selvatico) cuoce nel vino e negli aromi agnello, coniglio, lepre e pollo, ma anche alcuni pesci come la coda di rospo e lo stoccafisso. E ancora: antipasti di pesce azzurro marinato, primi piatti a salsa rossa e ragù, gnocchi alla papera, coniglio in porchetta, sardoni scottadito, brodetto di Porto Recanati (nato come piatto povero dei pescatori, ma ormai composto da almeno 13 varietà tra pesci, molluschi e crostacei), caciuni (grandi ravioli di pasta da riempiti con pecorino fresco e stagionato, tuorli d’uovo, zucchero e scorza di limone grattugiata), pane nociato (con pecorino, pepe, parmigiano, noci e uvetta), maiorchino di Ostra Vetere (soffice torta a base di mandorle), beccute (preparate con gli avanzi della polenta, acqua, fichi secchi e, se ci sono, mandorle o noci) e fave dei morti. (di Alessandra Calzecchi Onesti)
DENOMINAZIONI
DOCG: Castelli di Jesi Verdicchio Riserva, Cònero
DOC: Esino, Lacrima di Morro o Lacrima di Morro d’Alba, Rosso Cònero, Rosso Piceno o Piceno, Verdicchio dei Castelli di Jesi
IGT: Marche