Dalle mura di Gerico agli orti urbani, dai boschi verticali alla democrazia alimentare: suggestioni d’autore per affrontare il nuovo rapporto tra città e campagna
Le trasformazioni delle aree urbane e rurali e le nuove relazioni tra fra cultura urbana e mondo agricolo giocano e giocheranno in un prossimo futuro un ruolo sempre più strategico per la sostenibilità, la definizione e l’uso degli spazi, la condivisione di conoscenze e del sentimento di appartenenza tra tutti gli attori – amministratori, abitanti, operatori – della comunità.
Si è parlato di questo, di una nuova reciprocità tra città e campagna e della funzione dell’agricoltura nella costruzione dell’identità locale e del paesaggio, lo scorso 20 aprile ad Alcamo nell’affollato convegno dal titolo "Coltivare la città: Piano Regolatore delle Città del Vino e Urban Food Planning", organizzato dall’Associazione Nazionale delle Città del Vino con il patrocinio e la collaborazione della Strada del Vino Alcamo doc. Ad animare l’incontro – prima tappa di una road map che porterà all’introduzione del tema dell’Urban Food Planning alla metodologia del "Piano regolatore delle Città del Vino" – sono stati tra gli altri gli interventi di Davide Marino (Docente di Economia Rurale all’Università del Molise), Pietro Columba (Docente di Economia agraria ed estimo dell’Università di Palermo) e David Palterer (Docente di Architettura del Politecnico di Milano Polo di Mantova), dei quali pubblichiamo una sintesi nella sezione Studi e Ricerche.
Coltivare la città, coltivare in città
Con questo titolo David Palterer introduce un breve ma assai suggestivo excursus di quelle ”norme di vita” che, di volta in volta generate dallo “spirito culturale del tempo e del luogo”, da sempre regolano la storia e la configurazione delle città: dalle antichissime mura di Gerico che separano e individuano un luogo protetto che attribuisce diritti e doveri a chi sceglie di stare al suo interno alla creazione di “circonvallazioni alberate” e “grattacieli coltivati” che oggi tentano di ridurre il distacco dalla natura della vita nelle metropoli introducendo artificiosamente dentro il recinto abitato la campagna seviziata dallo sviluppo tecnologico e urbanistico. Solo da tempi relativamente recenti i piani di governo dei territori – regolatori, strategici o strutturali che siano – s’interessano di paesaggi, progressivamente estesi a inglobare quelli naturali, fino a considerare l’insieme un ‘sistema’. La ricerca di relazione con il verde, unita anche al crescente tempo libero a disposizione di chi vive in città e la consapevolezzadel danno che i cambiamenti climatici stanno portando nella vita di ciascuno di noi, hanno avviato una tendenza che non solo amministratori pubblici, enti e società ma anche l’architettura del mondo rurale non possono più ignorare e che vede il proliferare di orti urbani, giardini tematici, parchi urbani coltivati a grano, torri residenziali caratterizzate da impianti di essenze arboree su terrazze, fino ad arrivare al fenomeno delle cantine e masserie “d’autore”, in cui produzioni d’eccellenza sposano l’arte e il design, fondendo le relazioni tra natura/paesaggio e opera dell’uomo in un’unica e nuova armonia.
L’agroalimentare di qualità: fattore di sviluppo tra economia e paesaggio
Parte dalla contrapposizione tra la “qualità” dell’economia ecologica (dipendenza da risorse naturali limitate, complementarietà dei fattori di produzione, impossibilità della crescita illimitata, sviluppo qualitativo) e la “quantità” di una visione neoclassica dell’economia (crescita senza limiti, risorse naturali infinite, sostituibilità infinita del capitale naturale con quello umano o economico, inefficacia del mercato nella valorizzazione della qualità) l’analisi di Pietro Columba dello stretto legame tra paesaggio, crescita e sviluppo. Perché se la Crescita intesa come “conversione delle risorse in ricchezza” non è più accettabile, è necessario puntare allo Sviluppo in quanto incremento della disponibilità futura delle risorse (patrimonio naturale e capitale culturale e sociale) e alla Sostenibilità, che punta al mantenimento della disponibilità futura delle risorse. Ma un modello di sviluppo sano e di lungo periodo si inscrive nel territorio, deve cioè essere in grado di mantenere viva e riprodurre la qualità di ambiente, paesaggio, storia, cultura e società. Deve coprodurre, insieme alle merci, i valori, le conoscenze, le istituzioni e il contesto naturale che servono a perpetuarlo e per farlo non può prescindere da un’agricoltura vitale, un’agricoltura cioè integrata appunto dal capitale culturale, ecologico e sociale. Solo così l’agricoltura non perde le sue funzioni di tutela del territorio e del paesaggio: un territorio che diventa sintesi di tipicità, biodiversità e autorganizzazione e un paesaggio che non è più solo elemento iconico e celebrativo denso di stratificazioni, ma anche parte integrante della vita e delle politiche quotidiane, spazio urbano e periurbano che favorisce relazioni e attività ricreative, sostiene il miglioramento della qualità dell’aria e il mantenimento della biodiversità e contribuisce a generare nuovi cittadini.
Purtroppo non sempre gli operatori sono in grado di valorizzare il patrimonio territoriale, né gli attori dello sviluppo locale hanno consapevolezza dei temi della qualità dell’ambiente, dei prodotti agroalimentari e del capitale sociale e relazionale. I benefici connessi alla salvaguardia del paesaggio, per esempio, spesso non sono chiaramente definiti (e percepiti), mentre le perdite economiche risultano più concrete ed evidenti. E’ importante invece che strategie imprenditoriali e politiche pubblicheragionino in termini di vantaggi competitivi (basati su elementi qualitativi) e non comparativi, anche in considerazione del fatto che la concorrenza, per i prodotti agricoli e alimentari, si va configurando sotto forma di competitività dei territori.
A tutto questo sono strettamente collegate le tematiche dell’agri-cultura (l’agricoltura è l’interazione antropica con l’ambiente per la produzione del cibo) in contrapposizione all’agri-incultura (interruzione del legame natura-cibo-uomo), dell’etica del cibo (è accettabile una produzione industriale del cibo forte impatto ambientale?) e di una alimentazione poco salubre (ipernutrizione umana determinata da scopi economici, diffusione di carni “gonfiate” da integratori chimici, bevande eccessivamente dolcificate, cereali ultra trasformati, ecc.). L’adozione di comportamenti alimentari salutari richiede un ambiente produttivo di alta qualità, l’accesso a punti vendita che offrano cibi abbordabili e nutrienti e politiche alimentari rivolte a migliorare la salute generale della comunità (vedi ad esempio il Retail Food Environment Index sviluppato dal California Center for Public Health Advocacy).
L’agricoltura siciliana ha una sua specificità legata a contenuti immateriali (ruralità antica, primogenitura nell’introduzione dei primi veri elementi di gastronomia e di finalità conviviale del pasto, tipicità della produzione), alla biodiversità, alla Dieta mediterranea, al “Brand Sicilia”. Il sistema agricolo siciliano multifunzionale che ne consegue richiede e merita di essere valorizzato da un elevato livello culturale e professionale, un forte supporto dalla ricerca, dalla formazione e dall’intervento delle diverse Istituzioni, l’integrazione tra le politiche agricole, ambientali, culturali, turistiche e industriali, la sinergia nell’impiego delle risorse economiche, la tutela della qualità del territorio.
Dalla Rivoluzione Verde al paradosso alimentare: che fare?
La Rivoluzione Verde e la Politica Agricola Comune hanno contribuito sensibilmente all’aumento della produzione agricola che ha quindi a sua volta sostenuto la crescita demografica planetaria. Questo positiva evoluzione – sottolinea Davide Marino – ha portato con sé anche risvolti negativi (industrializzazione delle filiere con separazione tra produzione e consumo, diminuzione della biodiversità, diminuzione della fertilità dei suoli ed erosione, impatto sul ciclo idrico, abbandono delle aree rurali) ai quali dobbiamo e possiamo rimediare con un modello europeo di agricoltura centrato sulla qualità degli alimenti e sullo sviluppo rurale.
Ma oggi la questione “alimentazione” è interessata da nuove criticità (3mld di persone soffrono di problemi di salute legati al cibo accanto agli 800mln sottonutriti e più di 2mld che soffrono di patologie collegate direttamente alla cattiva alimentazione, destinazione dei terreni agricoli alla produzione energetica, concentrazione dei marchi che controllano le filiere commerciali del cibo, land grabbing) che richiedono politiche specifiche per il cibo che ne garantiscano l’essenza di bene primario indispensabile per la vita, ne assicurino la democrazia alimentare e ne riducano i costi occulti nei bilanci sanitari e negli impatti ambientali.
Una possibilità concreta e reale è lavorare a scala localeintegrando strumenti di pianificazione spaziale e politiche economiche che contribuiscano a risolvere le questioni ambientali sociali ed economiche legate al cibo. Un lavoro che coinvolga le istituzioni locali, le comunità i cittadini e gli operatori economici partendo dalla definizione degli obiettivi per arrivare alle modalità operative.
Proprio al Prof. Marino l’Associazione ha affidato la messa a punto di un nuovo capitolo del PRCV dedicato proprio all’Urban Food Planning, cioè la pianificazione economica del cibo al livello urbano (inteso come area vasta, non come singolo comune): una visione strategica di grande respiro e impatto, che si realizza attraverso la creazione di circuiti economici basati sulla produzione e il consumo di cibo locali e finalizzati a generare mercati autosostenibili, stimolare la microimprenditorialità, salvaguardare e valorizzare i caratteri distintivi dei paesaggi agrari. Un tema oggi di grande attualità, non solo e non tanto per le polemiche suscitate a Firenze sul cibo locale, ma soprattutto per le ricadute di sviluppo economico e sociale che ne potrebbero derivare in termini di salvaguardia della salute umana e ambientale, crescita dell’identità culturale, tutela della comunità contro gli atti di violenza e di criminalità diffusi maggiormente nelle aree degradate, restituzione della giusta dinamicità alle aree periferiche, rafforzamento di quel ruolo multifunzionale dell’agricoltura che tanta utilità può apportare alla società. (Alessandra Calzecchi Onesti)