Auguri alla Freisa di Chieri

auguri
05/06/2023

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1973 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

Disciplinare: Approvato con DPR 20.09.1973 GU 27 – 29.01.1974

Regione: Piemonte

Provincia/e: Torino

Enoregione/i: BASSO MONFERRATO E COLLINE TORINESI  

Tipologie: “Freisa di Chieri” Secco, “Freisa di Chieri” Superiore, “Freisa di Chieri” Dolce, “Freisa di Chieri” Frizzante, “Freisa di Chieri” Spumante

Vitigno/i: Freisa: dall’90 al 100%; altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione nella Regione Piemonte: da 0 a 10%.

Cenni storici e/o geografici: Le fonti storiche collocano la nascita del vitigno Freisa nella zona del Chierese e della Collina Torinese, con successiva diffusione fino ai confini con il Basso Monferrato. Parla espressamente del vitigno il conte Nuvolone: “Freisa produce vino acerbo, secco e robusto, …” dice nella celebre “Istruzione” a tema viticolo-enologico. Si accenna già allora a due varietà di Freisa, una grossa ed una piccola, e alla coltura del vitigno in tutte le province piemontesi. Per quanto riguarda il vino, dice che sia “ricco di tartaro” e per questa ragione necessiti di numerosi travasi, adatto però all’invecchiamento e al taglio con i vini più deboli. La zona storicamente vocata alla coltivazione di questo vitigno è la Collina Torinese: una catena collinare a sud del Po che si estende da Moncalieri a Verrua Savoia, con un’altimetria variabile tra i 300 e gli oltre 550 metri s.l.m. Il secondo conflitto mondiale ed il successivo periodo di boom economico furono la causa determinante per la riduzione della viticoltura in questa zona. La vicinanza con il capoluogo regionale promosse l’abbandono delle campagne, e la crescente domanda di cereali portò alla riconversione colturale dei versanti collinari. L’avvento della fillossera, sebbene tardivo sulla Collina Torinese non risparmiò le viti di Freisa che dovettero quindi essere reimpiantate. L’operazione fece perdere sicuramente quel patrimonio di diversità clonale che nei secoli si era costituito nel Torinese, oltre che un consistente numero di vigneti. Solo dopo il 1973, anno dell’istituzione della D.O.C. Freisa di Chieri ci fu un sostanziale ritorno alla coltivazione del vitigno ed il passaggio da piccole aziende produttrici per autoconsumo ad aziende vitivinicole.

 

Prodotto: SALAME COTTO ASTIGIANO (PAT)

Descrizione: Forse il più tipico salume piemontese, prodotto nelle zone dell’Astigiano e del Monferrato (Casale, San Martino Alfieri, Costigliole d’Asti, Portacomaro, Ferrere e Coccolato) e anche in alcune località lombarde al confine con il Piemonte. Assomiglia a un cotechino ma ha una diversa composizione, essendo prodotto con carni suine di seconda scelta (coscia, spalla, muscoli della testa e della lingua, tritate a grana grossa), aglio e spezie (pepe, sale, chiodi di garofano, cannella, santoreggia, menta…) in dosi ben equilibrate e vino (Barbera, Bonarda, Arnesi, Cortese o Marsala). L’impasto viene poi compresso in un budello bovino per i formati grandi tradizionali (fino a tre chili) o di cavallo per i formati «da turista» (dai quattro ai sei etti), con diametro di circa dodici centimetri e media lunghezza. La cottura, subito dopo l’insaccatura o dopo qualche giorno di riposo a 0° C, dura circa due ore in acqua che sobbolle piano. Si conserva in frigorifero per venti giorni, si cuoce in acqua calda per almeno tre ore a fuoco lento e si serve tiepido in fette spesse tagliate a mano, insieme a purè di patate o peperoni sotto aceto o sott’olio oppure caldo con la fonduta. Il gusto è fragrante, gelatinoso e leggermente untuoso. È anche un ottimo ingrediente per la frittata rognosa (uova, salame e Parmigiano) al posto del Salame d’la doja, (PAT), per il bollito, per ripieni di verdure e focacce.

 

Piatto: CAPUNÉT (O PES-COJ O PESS-CÒ)

Descrizione: Specialità dei giorni di festa del periodo invernale e primaverile da non confondere con l’omonima specialità svizzera di Val Poschiavo (gnocchetti agli spinaci), i capunét sono involtini di fiori di zucca o di foglie di verza farciti, fritti a calore medio nel burro facendoli dorare da ogni lato (ma c’è chi li cuoce al forno, per circa venti minuti) e serviti caldissimi. Pes-coj letteralmente significa «pesce-cavolo». Sono tipici dell’Astigiano, del Canavese e del Cuneese ma si trovano anche nel Vercellese e nel Novarese (dove spesso alla carne si aggiunge riso lessato o mollica di pane ammorbidita nel latte), in Liguria e nel Bergamasco (con il nome di capù). Il ripieno è costituito da un impasto di polpa di maiale o di vitellone macinata, aglio e prezzemolo tritati, pezzettini di salame cotto, uova, Parmigiano Reggiano, noce moscata, sale e pepe. Altre varianti arricchiscono il composto con un soffritto di cipolla, alloro, rosmarino e salvia, con gli amaretti, con mortadella e prosciutto cotto o, infine, con il Bra (DOP) duro grattugiato. Di antichissima tradizione, il Bra è un formaggio prodotto nell’omonimo paese in provincia di Cuneo, ricavato da latte vaccino che può essere integrato con latte ovino e/o caprino, semigrasso, pressato, di media e lunga stagionatura e forma cilindrica. A pasta chiara con leggere occhiature, il sapore tendente al dolce è più o meno spiccato a seconda che si tratti del tipo tenero, con maturazione non inferiore ai quarantacinque giorni, o duro, con stagionatura di almeno sei mesi.

Cerca la città del vino
Generic filters

Ultime Notizie

adv