Auguri alla DOC Dolcetto d’Acqui

25/05/2022

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1972 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

DOLCETTO D’ACQUI

Disciplinare: DPR 01.09.1972 (GU 308 – 27.11.1972)

Regione: Piemonte

Provincia/e: Alessandria

Enoregione/i: ALTO MONFERRATO, TERRE DEL GAVI E TERRE DEL MOSCATO

Città del Vino: Comune di Acqui TermeComune di Strevi

Tipologie: Dolcetto d’Acqui, Dolcetto d’Acqui Superiore

Vitigno/i: Dolcetto

Cenni storici e/o geografici: Il "Dolcetto d’Acqui” viene prodotto utilizzando l’omonimo vitigno Dolcetto. Il grappolo solitario, oblungo, con acini neri, minuti, tondi, contengono una polpa di colore rosso acceso, densa, sugosa, che fermentando dà un vino nero, sciolto, leggero. I vigneti sono coltivati da sapienti vignaioli secondo l’usanza del territorio col sistema Guyot classico. La vinificazione di cantina rispetta la tradizione al fine di valorizzare ed esaltare le caratteristiche del Dolcetto: la freschezza e la bevibilità. Il carattere giovane e gradevole di questo tipicissimo vino Piemontese si esprime sempre in un sapore asciutto ed armonico. Le sue caratteristiche sono date principalmente dal territorio di produzione, l’Alto Monferrato. Le colline che tagliano il territorio di Acqui sono in generale composte di un tufo bianco, o per meglio dire, di una marna argillosa compatta, o a volte sabbiosa e questi terreni influiscono nettamente ed in modo rilevante sulle caratteristiche organolettiche delle uve prodotte e del vino.

 

Prodotto: ROBIOLA DI ROCCAVERANO (DOP)

Descrizione: Tipico della zona fra Asti e Alessandria, le sue antichissime origini risalgono ai popoli liguri-celti, come attestato da testimonianze risalenti all’epoca medioevale. Il nome richiama sia la parola latina robium, con riferimento al colore rossiccio della parte esterna della pasta, sia il nome del paese nell’Astigiano dove è nato. Unico caprino ad aver ottenuto la Denominazione di Origine Controllata (e unico formaggio DOP italiano che può essere ottenuto da tre tipi diversi di latte: vaccino, caprino e/o ovino), questa robiola dal profumo delicato e corposo viene prodotta attraverso una lunga coagulazione lattico-presamica di latte crudo di vacca (in misura massima dell’85%) e di capra e pecora in rapporto variabile. La pasta è tenera e di colore bianco se fresca (5 o 10 giorni), compatta e di colore paglierino se leggermente stagionata (anche per qualche mese, a volte come da tradizione su un letto di fieno). Il sapore delicato e aromatico con retrogusto acido è dovuto all’alimentazione degli animali, che sulle alte coste è costituita da foraggio verde cui si aggiungono timo, rovi ed erbe aromatiche selvatiche, e alla miscela di latte proveniente dalla mungitura sia serale che mattutina. Poiché il disciplinare consente di fare il Roccaverano anche con una minima o nulla quantità di latte di capra, recentemente è diventata Presidio Slow Food la Robiola di Roccaverano Classica, quella cioè che alcuni allevatori-casari continuano a produrre esclusivamente con latte crudo di capra come si faceva due secoli fa. Ottima per preparare il ripieno di pasta fresca magari con spezie ed erbette oppure così com’è, insieme a miele di acacia o lavanda o cugnà.

 

Piatto: TONNO DI CONIGLIO

Descrizione: Piatto molto conosciuto specialmente nel Monferrato, così chiamato perché la carne, macerando qualche giorno nell’olio, diventa tenera proprio come il tonno. Il coniglio viene prima lessato intero insieme a verdure e aromi (aglio, cipolla, carota, sedano, prezzemolo, salvia, rosmarino, timo, maggiorana, basilico, alloro, chiodi di garofano, grani interi di pepe nero o verde, poco sale), poi disossato con le mani e la polpa riposta a strati in una terrina alternandola a foglie di salvia, spicchi d’aglio e abbondante olio extravergine di oliva. Si tiene in luogo fresco per due o tre giorni, aggiungendo olio se la carne appare un po’ asciugata. Si può servire come antipasto insieme con un’insalata di valerianella (sarsèt nel dialetto locale) o a una mirepoix di verdure croccanti e cipolle fritte oppure come secondo piatto accompagnato da patate arrosto o con polenta abbrustolita e salsa alle acciughe.