Auguri al Martina Franca

04/02/2019

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di  città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche,  vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1969 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

MARTINA O MARTINA FRANCA

Disciplinare: approvato DOC con Dpr 10.06.69  (G.U. 211 -19.08.69)

Regione: Puglia

Provincia/e: Taranto, Bari e Brindisi

Città del Vino: Martina Franca

Tipologie: Martina o Martina Franca (anche Superiore e Riserva), Martina Franca Spumante, Martina Franca Verdeca, Martina Franca Bianco d’Alessano, Martina Franca Fiano, Martina Franca Passito.

Vitigni: Verdeca 50-65%, Bianco d’Alessano 35-50%, Fiano, Bombino, Malvasia bianca 0-5%.

Cenni storici e/o geografici: Questa DOC “gemella” del Locorotondo prende il nome dall’omonimo comune, che si narra sia stato fondato nel 1300 quando Filippo I D’Angiò, per allontanare banditi e bestie feroci, decise di edificare una cittadella fortificata sul punto più alto di monte San Martino e per popolarla la rese zona franca dalle tasse. La zona geografica delimitata dal disciplinare di produzione è denominata Valle d’Itria e fa parte della più ampia area della Murgia, cosiddetta “dei Trulli”. Terra di viandanti, nel corso della storia, e votata all’agricoltura fino ai nostri giorni, grazie anche alla tipica terra rossa, parzialmente argillosa e sabbiosa. Qui il paesaggio rurale è caratterizzato da residui boschi di querceti e leccio misti a vegetazione spontanea mediterranea e dagli impianti ad alberello coltivati in piccoli appezzamenti di terreno, delimitati dai caratteristici muretti a secco. Nonostante la notevole piovosità e la buona insolazione estiva, il terreno piuttosto arido e siccitoso può rallentare la maturazione dell’uva, dando vita ad un vino fresco e di gradazione contenuta da consumare fin dalla primavera successiva alla vendemmia.

Descrizione: Colore giallo verdolini o giallo paglierino chiaro. Odore delicato, caratteristico con leggeri sentori speziati; delicato profumo che aumenta con l’invecchiamento, scarsa vivacità. Sapore asciutto, armonico con retrogusto leggermente amarognolo. Titolo alcol. minimo: 11%. Abbinamenti: da aperitivo  e da tutto pasto, crostacei e frutti di mare, zuppa di cozze, pesce di mare bollito o alla griglia, seppie in umido, frittate e latticini freschi.

 

Prodotto PANE DI ALTAMURA

Disciplinare: Reg. CE n. 1291 del 18.07.03 (GUCE L 181 del 19.07.03)

Cenni storici e/o geografici: I 35  panifici  della città sfornano ogni giorno circa 600 quintali di pane, destinato per la maggior parte ai più importanti mercati nazionali. Nonostante l’enorme richiesta e la produzione industrializzata, è ancora preparato con l’antico sistema di lavorazione (a lievito madre o pasta acida-sale marino-acqua) e le semole rimacinate di varietà di grano duro coltivato nella Murgia nord-occidentale. In passato veniva impastato tra le mura domestiche, quindi definitivamente confezionato e cotto nei forni pubblici previa marchiatura delle forme con il marchio in legno o in ferro artigianale riportante le iniziali del capo famiglia.

Descrizione: Lo spessore della crosta croccante è di almeno 3 mm. La mollica, soffice e di colore giallo paglierino, è caratterizzata da alveolazione omogenea e profumo caratteristico. L’umidità non supera il 33%. Le pezzature, non inferiori a 0,5 kg di peso, possono avere la tradizionale forma accavallata (u skuanète) con baciature ai fianchi  o bassa (cappidd d’prèvte) senza baciature. Un tempo se ne producevano anche altre tipologie, come u puene muedde (pane morbido), fecazzedde de la Maculete (il pane dell’Immacolata), u panedde de Sand’Andonie (consumato durante la festa di S. Antonio). Con questo pane contadino, caratterizzato da lunga conservabilità, si accompagnano contorni, formaggi e salumi di ogni tipo e si preparano tradizionali pancotti, bruschette o zuppe di verdura, ma è particolarmente buono anche da solo, condito con un filo d’olio extravergine d’oliva.

 

 

Piatto FAVE E CICORIA

Cenni storici e/o geografici: La coltivazione delle fave in Italia è tipica delle regioni del Centro e del Sud, dove la classica merenda primaverile le vede accompagnate da pecorino e pane nero. L’origine di questo piatto, ancora oggi molto popolare anche nella cucina egiziana,  è assai antica e comune a tutto il Mediterraneo. La cicoria può essere ripassata in padella con aglio, olio e peperoncino, oppure venire sostituita da altre verdure lessate come cime di rape, verdura selvatica, broccoli o lampascioni.

Descrizione:  Ingredienti: 1 tazza e mezza di fave secche,  1 testa di cicoria  (circa 500 gr), olio evo, sale e pepe. Preparazione: Sciacquate bene le fave e tenetele a bagnomaria per la notte. Eliminate la parte scura delle fave, mettetele in una pentola interamente coperte di acqua e cominciate la cottura. Appena raggiungono l’ebollizione, abbassate la fiamma e, mescolando di tanto in tanto, lasciate cuocere a fuoco lento fino a quando le fave non diventino pastose (circa 1 ora). Spegnete il fuoco, salatele e riducetele in in un puree omogeneo schiacciando e girando con un mestolo di legno. Lasciate riposare per 30 minuti prima di “frustarle” per favorirne l’amalgama, aggiungendo copioso olio d’oliva.Lavate, tagliate e cuocete separatamente la cicoria in acqua salata bollente, finché non diventano tenere (3-5 minuti circa). Servite le fave e la cicoria,  irrorate da olio a crudo e spolverizzate di pepe nero appena macinato, insieme a fette di pane pugliese.

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