Riordino fondiario: un modello concreto di rinascita rurale

11/11/2019

Nell’ambito del workshop “Spazio rurale e spazio urbano. Un equilibrio in tensione”, recentemente tenutosi a Sabbionara d’Avio (TN) a cura di Tiziano Bianchi (www.territoriocheresiste.it), è stato affrontato il tema del complesso rapporto tra aree coltivate ed aree abitate. Tra i tanti aspetti approfonditi – dalle dinamiche evolutive del paesaggio rurale e dell’architettura internazionale dei paesaggi viticoli al Piano urbanistico delle Città del Vino, dal capitale paesaggistico dei vigneti terrazzati, di fondovalle e di montagna al valore dello spazio rurale come bene comune – particolarmente interessante è il contributo di Geremia Gios del  dipartimento di Economia dell’Università di Trento e del Presidente dell’Associazione Rio Romìni Renato Angheben, che hanno presentato una buona pratica di riordino fondiario “virtuale” come modello concreto di rinascita rurale.

 

AGRICOLTURA, TERRITORIO, PIANIFICAZIONE E RECUPERO: LA NUOVA FUNZIONE DEI BENI IDENTITARI

 

La montagna alpina è un prodotto dell’uomo che ne ha “costruito” (talvolta letteralmente) il territorio e l’agricoltura rappresenta il settore che ha contribuito maggiormente a questa costruzione, consentendo per diversi secoli la permanenza in montagna di una popolazione relativamente numerosa, senza innescare processi irreversibili di degradazione del territorio. Nell’ultimo secolo l’agricoltura alpina si è caratterizzata per un progressivo mutamento nelle funzioni svolte, un’evoluzione diversificata tra area ed area, la perdita di importanza rispetto all’agricoltura di pianura. L’agricoltura montana presenta invece numerose funzioni socio-economiche ed ambientale. Fra le prime ricordiamo: il contributo dell’agricoltura al mantenimento dell’occupazione, il contributo alla vitalità economica e sociale delle aree rurali con particolare riferimento a quelle collocate in aree periferiche e marginali (Commissione, 2000b), il contributo all’attrattività turistica dell’area, la sicurezza alimentare e la formazione di beni identitari. Nella seconda funzione vengono comunemente fatte rientrare attività di valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio, quali la costruzione ed il mantenimento del paesaggio, la conservazione della diversità biologica, la protezione contro i disastri, la conservazione del patrimonio culturale legato all’attività agricola (Commissione, 2000a).

Attualmente l’agricoltura in montagna, oltre a garantire direttamente reddito e occupazione, è infatti alla base del mantenimento del territorio e del paesaggio (non si può conservare senza gestire) ed è, quindi, utile alla società locale ed anche alle comunità di pianura. Per questo motivo assicurare adeguate possibilità di sviluppo all’agricoltura montana è nell’interesse dell’intera società. Anche se non vanno trascurate alcune esternalità negative, come ad esempio l’uso di fitofarmaci o quelle legate all’intensità colturale ed alla uniformità a livello territoriale.

Esempi valore paesaggistico conseguente all’attività agricola

 

Pascolo (Prealpi trentine circa 400 ha, valori/anno)

Prodotti pascolo (euro/anno) 23.083

Valore paesaggistico ricreativo 160.302

 

Vigneto (valori/anno/ha)

Collio                     1188 euro/ha

Colli orientali Friuli    930 euro/ha

Val di Cembra            160/euro/ha

 

Accanto alla tradizionale competizione tra imprese e prodotti si va, inoltre, affermando una competizione tra sistemi territoriali. I territori competono tra loro per l’utilizzo di risorse mobili (capitale, lavoro, tecnologia) e/o per l’assegnazione di risorse finanziarie da parte di enti pubblici. Ma al fine di consolidare il proprio sviluppo devono essere in grado di combinare ed organizzare le potenzialità economiche esistenti. Globalizzazione e competizione tra i territori portano ad esaltare il ruolo delle specificità territoriali in un contesto in cui i luoghi non sono solo singoli beni che possono essere “isolati” e venduti al migliore acquirente, ma prodotti in continua evoluzione e trasformazione.

In questa prospettiva i beni e i servizi con forte legame con l’ambiente locale risultano meno mobili degli altri fattori produttivi e possono costituire un punto di partenza per rafforzare la competitività di imprese e di prodotti specifici. Tali beni possono essere definiti come beni identitari vale a dire beni (di mercato e non) che definiscono l’identità locale  e che per essere tali devono possedere almeno una caratteristica che non possiedono i beni (e/o i territori) concorrenti. La differenziazione avviene, dunque, sia attraverso la qualità sia mediante una delimitazione geografica precisa dei luoghi di produzione ed entrambe le caratteristiche devono essere presenti contemporaneamente.

Per “produrre”queste complesse  costruzioni è necessario sapere e saper fare, riuscire ad applicare il sapere scientifico alle specificità sociali, culturali e ambientali locali. Vale cioè la legge del minimo vale a dire che il risultato finale è condizionato dal fattore più scarso perché intervenire sui fattori abbondanti serve a poco. Occorre invece un adeguato contesto istituzionale, la partecipazione di numerosi attori, l’applicazione di modelli di concertazione organizzativa.

Oggi i terreni nelle aree montane vengono abbandonati per le condizioni geoclimatiche e giuridico economiche: le ridotte dimensioni, la distanza tra gli appezzamenti e la numerosità proprietari equivalgono a maggiori costi delle coltivazioni e per gli spostamenti, a maggiori difficoltà di interventi tempestivi e alla difficoltà o impossibilità di un accordo.

Non mancano però interventi possibili, come il riordino fondiario, la Banca della terra, modifiche legislative, ecc., anche se il recupero porta con sé alcune condizioni: interventi pubblici per la riduzione dei costi e passaggio a forme di agricoltura più intensiva.

 La ricomposizione fondiaria porta ad esempio numerosi vantaggi sia ai privati (incremento della produzione, riduzione dei costi di gestione, disponibilità del terreno a costi relativamente contenuti, miglioramento di accesso, confini più chiari) sia alla società nel suo complesso (riduzione dei costi pubblici per infrastrutture, salvaguardia idrogeologica, pianificazione territoriale, gestione, ecc., incremento delle attività e dell’occupazione, miglioramento del paesaggio).

 

UNA POSSIBILE ALTERNATIVA: L’ESEMPIO DEL RIO ROMINI NEL TRENTINO SUD-ORIENTALE

 

Rio Romini è un torrente che taglia la Vallarsa, la vallata selvaggia scavata fra le montagne dal Leno, fra Rovereto e il Vicentino. Il suo nome, legato poco più di un secolo fa alla cruenta memoria delle battaglie combattute sul fronte meridionale dell’Impero austro-ungarico, è oggi il nome di un vigneto di circa 5 ettari che appare come un giardino vitato di montagna nel piccolo borgo di Riva di Vallarsa ad un altitudine di 750 metri e anche il nome di un’Associazione (www.rioromini.it) che dalla metà degli anni Duemila in poi è stata protagonista di un progetto, di anno in anno divenuto realtà, di valorizzazione del territorio.

Con un’iniziativa che è riuscita a saldare concretamente cultura, storia e agricoltura,  l’Associazione si è fatta capofila prima di un’azione di ricomposizione fondiaria per ottimizzare un assetto proprietario segnato dalla micro parcellizzazione, poi di un’opera di bonifica e di infrastrutturazione agraria e infine di un progetto vitivinicolo sfociato in una bottiglia di vino (bianco): il Vigna Rio Romini. Qui la produzione vinicola è tutelata dalla Doc Trentino e può fregiarsi dell’omonima menzione in etichetta.

L’intervento complessivo di recupero del territorio ed impianto di nuovo vigneto si è concretizzato con i contributi del PROGETTO LEADER II attraverso due progetti distinti in termini di azione di riferimento (Progetto Rio Romini I – Recupero di aree agricole in località Lazzi/Busetta/sopra Riva: Tutela e miglioramento dell’ambiente e delle condizioni di vita, Recupero degli elementi caratteristici del paesaggio locale ) e di soggetto richiedente (Progetto Rio Romini II – Qualificazione produzione frutticola in località Lazzi/Busetta/sopra Riva: valorizzazione in loco e commercializzazione di prodotti agricoli – silvicoli e della pesca), ma tecnicamente coordinati e strettamente connessi anche grazie all’attivazione di un intervento formativo (Progetto Rio Romini III: corso di formazione "Tecniche di coltivazione della vite") proposto per fornire l’assistenza tecnica alle persone coinvolte su argomenti come l’organizzazione e la gestione dell’azienda, i sistemi di impianto di coltura, l’allevamento della vite e la pratica enologica.  (di Alessandra Calzecchi Onesti)

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