Rapporto Censis-Federvini 2017

18/05/2017

Presentato nel corso dell’Assemblea Generale di Federvini svoltasi il 17 maggio a Roma, il primo Rapporto Censis-Federvini (“Il valore economico e sociale del settore del vino e dei suoi protagonisti”) tratteggia un 2016 positivo, nonostante un contesto internazionale complicato ed una serie di leggi e provvedimenti sulla carta utili al comparto ma con tempi di adozione rallentati.

Il settore vini, spiriti e aceti italiano gode di buona salute, considerando i dati più significativi: lo scorso anno il nostro paese è stato l’unico ad aver realizzato un andamento positivo a volume e a valore (+4,3% per i vini; +4,6% vini aromatizzati e 5,9% per le acquaviti), con un export pari a circa il 15% dell’intero settore agroalimentare. In termini assoluti però siamo ancora, per i vini, dietro le spalle di Spagna (volume) e Francia (valore) che viaggia oltre gli 8 miliardi di euro contro i nostri 5 miliardi.

In Italia i temi della digitalizzazione e delle accise hanno, su fronti diametralmente opposti, reso meno agevole un’azione più incisiva del comparto. Il progetto RE.TE – ossia la registrazione telematica – avrebbe dovuto togliere la doppia contabilità elettronica e cartacea, con benefici evidenti per le aziende, ma a distanza di 12 mesi dall’avvio l’Agenzia delle Dogane non ha ancora approvato i regolamenti attuativi (e quindi oggi le imprese sono costrette a fare un doppio lavoro compilativo), mentre sul fronte delle accise (cresciute del 30% tra il 2013 e il 2015) il comparto sta attendendo da un anno il ribasso promesso dal Governo. “Lacci e lacciuoli”, insomma, hanno limitato ulteriormente la carica positiva Testo Unico sul Vino che, se da un lato, definisce vino e territori viticoli come patrimonio culturale, per un altro verso manca della maggior parte dei decreti attuativi e quindi rimane sostanzialmente un elenco di buone intenzioni. Paradossalmente, a livello europeo, gli ostacoli sono derivati più da difficoltà interpretative che da impedimenti oggettivi veri e propri, a partire dalle indicazioni nutrizionali fino al complesso iter di registrazione delle indicazioni geografiche. Ulteriori ostacoli agli scambi vengono dalle nuove registrazioni negli USA, dalle nuove certificazioni sanitarie in Cina, dalle discriminazioni fiscali in India, da alcune complessità normative giapponesi e da quelle doganali russe.

Luci ed ombre, quindi, che però non impediscono una ragionevole fiducia nel futuro, una positività fondata sulla più che buona accoglienza dei prodotti vitivinicoli italiani da parte dei consumatori. I dati ISTAT documentano che nel 2016 il vino è stata la bevanda alcolica più apprezzata e legata soprattutto ad un consumo equilibrato e consapevole: il 75% ha evidenziato infatti modalità di assunzione in linea con le quantità raccomandate. Il dato generale è sostanzialmente invariato dal 1983 ad oggi: metà della popolazione italiana infatti lo beve, ma l’elemento più rilevante è la diminuzione dei grandi consumatori (oltre mezzo litro al giorno), passati dal 7,4% nel 1983 al 4,5% nel 2003. Un segnale positivo anche dagli adolescenti, calati dal 29 al 20,4% in 10 anni, nonostante allarmismi basati su percezioni distorte e non su dati certi.

E l’analisi del Censis conferma come la diminuzione del consumo del vino sia accompagnata da un aumento della qualità, da nuovi pubblici e da modelli di comportamento più sostenibili (maggior equilibrio e selezione dei prodotti).

Si modificano anche le tipologie di consumatori: si sono ridotti coloro i quali possiedono un basso livello di scolarizzazione, mentre sono aumentati diplomati (dal 30,6% al 33,8% dal 2006 al 2015) e laureati (dal 35,5% al 39,5%). Inevitabile collegare l’incremento di un pubblico ad alta scolarizzazione con una ricerca sempre più costante di qualità e di informazioni. Capitolo a parte va dedicato ai cosiddetti millennials, ossia i consumatori tra i 20 e i 34 anni: si attestano al 48,6% ma si tratta essenzialmente di consumatori ‘non seriali’ che prediligono vini di qualità in contesto conviviali.

Il tema della qualità sembra governare anche la spesa dei prodotti vitivinicoli: nel biennio 2013-15 l’esborso complessivo degli italiani per il vino ha avuto una crescita del 9% contro lo 0,5% del settore alimentare (+18 volte). In un contesto di crisi dei consumi, si tratta di un dato di rilevanza assoluta, che indica la centralità del vino nei consumi quotidiani e la ricerca costante della qualità: il consumatore più evoluto ed informato sceglie il vino come alimento. I criteri di scelta confermano la tendenza a prediligere la qualità, che resta l’elemento principale nelle scelte di consumo per il 93% degli intervistati. Il criterio di italianità viene invece premiato quale prima opzione dal 91% del campione. Qualità e italianità risultano concetti attigui e a volte sovrapposti, come testimonia quell’85% che individua nella denominazione di origine un indice di sicurezza e territorialità.

Molto rilevante (il brand guida la scelta del 70% dei rispondenti), il marchio porta con sé valori, storia, tradizione e saper fare: tutti elementi, indici di qualità intrinseca ed estrinseca, che oggi sono sempre più ricercati da consumatori sempre più nomadi e ‘infedeli’.

Negli ultimi 10 anni, infine, il vino è diventato uno dei perni del cosiddetto turismo sostenibile, trasformandosi da semplice prodotto in un insieme di valori, saperi, sapori e cultura di un territorio, al di là delle qualità organolettiche e del momento della degustazione che comunque rimane centrale. La filiera vitivinicola è quindi diventata elemento aggregatore di altre filiere – turistiche e culturali in primis – contribuendo a generare occupazione, sviluppo e valore. Un dato su tutti: nel 2016 24 milioni di italiani hanno partecipato a eventi enocorrelati, ossia sagre, feste locali e trascorso vacanze più o meno estese in località celebri per l’enogastronomia. “Abbiamo la presunzione di credere che le campagne svolte dalla Federazione negli ultimi anni abbiano contribuito al conseguimento di questi risultati. In particolare con la profonda convinzione sul modello del Bere Mediterraneo con il sempre attento equilibrio con il cibo ed i tanti gusti e profumi; o con il progetto #Beremeglio, sviluppato in collaborazione con FIPE e indirizzato ai barman e ai titolari dei locali per contrastare l’abuso di bevande alcoliche ad opera dei consumatori più giovani –  ha commentato Sandro Boscaini, riconfermato Presidente di Federvini – C’è ottimismo tra gli operatori del settore, ma è necessario uno scatto in avanti dell’intero comparto per cercare di colmare il gap con Francia. Tanto è stato fatto ma tanto resta da fare. E certo le talune ultime vicende in materia di promozione non hanno certamente aiutato nonostante le buone intenzione del legislatore, nazionale ed europeo. Capitolo a parte meritano l’OCM, ed il suo capitolo più sensibile in questo momento ossia i contributi dell’UE per la promozione in paesi terzi. Il sostanziale blocco dei fondi ha di fatto impedito alle aziende italiane di attingere a risorse fondamentali, limitando in maniera decisiva la possibilità di investire nei paesi extra UE.” 

La fotografia scattata dal Rapporto che indaga la relazione tra italiani e vino ha, infine, suscitato una riflessione sul valore del comparto anche all’interno della stessa Federazione. “L’arrivo di nuove e importanti aziende, insieme a quelle storicamente già presenti, ci impone di guardare con rinnovato impegno alla struttura dei servizi della Federazione – ha dichiarato Piero Mastroberadino, Presidente Gruppo ViniIl nuovo scenario impone infatti un ulteriore rafforzamento della nostra organizzazione, al fine di rispondere alle attese di una platea più ampia di imprese associate. Sotto questo profilo, saranno potenziati i servizi di ricerca, gli studi e l’elaborazione dei dati economici e sociali, anche a vantaggio del decisore politico. Sul fronte tecnico, i primi passi sono stati già implementati grazie ad un accordo strategico con Assoenologi per sviluppare traiettorie innovative in tema di prodotti e di processi, mentre sul fronte della sostenibilità un accordo quadro con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha tracciato il percorso.  Impegni così diversi saranno tutti misurati dalla capacità della Federazione di rivendicare e vedere riconosciuto il valore delle produzioni della filiera, a fronte dell’eterogeneità della sua struttura professionale, quale testimone ultimo dell’avvenuta remunerazione di tutti gli investimenti messi in campo dalle imprese del settore. Dai territori alla singola impresa e ad ogni fase del ciclo economico l’imperativo non potrà essere che la misurazione del valore e il suo riscontro con quelli degli altri paesi produttori, così come da parte del consumatore finale.” (di Alessandra Calzecchi Onesti)