New Breeding Techniques in agricoltura

20/03/2018

“La natura ci ha dato due strade per giungere alla conoscenza delle cose agrarie e cioè l’esperienza e l’imitazione. Gli antichi agricoltori appresero la gran parte delle cose tramite l’esperienza mentre i loro discendenti appresero soprattutto tramite l’imitazione. Noi dovremmo oggi fare ambedue le cose, e cioè da un lato imitare gli altri e dall’altro saggiare le cose tramite esperimenti svolti non tanto seguendo il caso quanto adottando un metodo razionale – Marco Terenzio Varrone, 116-27 a.C.”.

Si è idealmente aperto con questa illuminante citazione del Presidente Società Italiana di Genetica Agraria Mario Pezzotti il convegno sulle nuove tecniche di miglioramento genetico (New Breeding Techniques-NBT) in agricoltura tenutosi aRoma, lo scorso febbraio, presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Promosso dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in collaborazione con il Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita, con il Ministero della Salute e con il Ministero dello Sviluppo Economico, l’incontro si proponeva come momento di confronto tra comunità scientifica, amministrazioni e portatori di interesse su questioni rilevanti quali quelle relative al possibile inquadramento di queste tecniche nel contesto normativo dell’Unione europea sugli organismi geneticamente modificati, al rilevamento e alla tracciabilità dei prodotti ottenibili, alle prospettive di ricerca e alle potenziali applicazione nel settore agricolo. La prima sessione aveva lo scopo di presentare le NBT, descriverne le caratteristiche e confrontare i prodotti così ottenuti con quelli realizzati attraverso le tecniche convenzionali di miglioramento genetico e le tecniche di ingegneria genetica classica. La seconda sessione ha invece ospitato un dibattito tra i rappresentanti di diversi gruppi d’interesse sulle prospettive per le NBT nell’agricoltura italiana. Pur trattandosi di un argomento decisamente complesso e che necessita di approfondimenti e riflessioni ben più ampie, riteniamo utile anticipare qui una sintetica panoramica delle interessanti relazioni illustrate al convegno (disponibili integralmente nella Sezione “Studi e Ricerche”) e delle posizioni dell’Associazione delle Città del Vino.

 

LA SELEZIONE DELLE SPECIE: UNA STORIA CHE VIENE DA LONTANO

Tutti gli organismi viventi sono soggetti ad alterazioni del loro patrimonio genetico che avvengono spontaneamente o in seguito all’esposizione ad alcuni fattori ambientali. Il miglioramento genetico in agricoltura, il cui sviluppo coincide con quello della civiltà umana, può essere scandito in tre fasi:

• Il lontano passato, quando l’Homo sapiens, durante la rivoluzione Neolitica (~ 10.000 – 5.000 anni fa) ha dato il via alla domesticazione di riso, soia, grano, orzo, mais, piselli, lenticchie, ….

• Il recente passato, da Mendel e Darwin “padri della scienza del miglioramento genetico” (incrocio e selezione) a Norman Borlaug “padre della rivoluzione verde” (sviluppo di varietà di frumenti altamente produttivi e resistenti all’allettamento) e Nazareno Strampelli, “l’uomo che voleva nutrire il mondo” (incrocio tra  la varietà italiana di grano Rieti resistente alla ruggine con l’olandese Wilhelmina Tarwe molto produttiva e la giapponese Akakomugi resistente all’allettamento e precoce).

 • Il presente e il futuro, con la  mutagenesi indotta (mutageni chimici e fisici  che generano mutazioni casuali e permettono di selezionare il fenotipo desiderato fra le piante mutagenizzate), la scoperta degli enzimi di restrizione, il frumento ottenuto mediante irraggiamento, il trasferimento genico nelle piante, i metodi molecolari integrati con gli studi di pieno campo utilizzati dai breeders attuali. In una parola le NBT

 

MIGLIORAMENTO GENETICO E  GENOME EDITING: LE NUOVE FRONTIERE

Negli ultimi decenni lo studio di come funzionano le piante, la Biologia vegetale, è confluito nella Biotecnologia vegetale, cioè nel miglioramento dell’utilizzo delle piante in agricoltura e industria tramite l’applicazione pratica delle conoscenze di biologia vegetale e dello sviluppo tecnologico generale. Il miglioramento genetico utilizza infatti la variabilità genetica naturale o indotta attraverso l’utilizzo di diverse tecniche per ottenere (selezionare) un organismo dalle caratteristiche desiderate in tempi più brevi. L’analisi genetica (la Genomica) consente di identificare i geni responsabili per caratteri di interesse ed i marcatori. La sequenza del DNA – che contiene le istruzioni per la funzione di tutti gli organismi (il genoma) –  rappresenta un bersaglio ideale per la rilevazione (cioè la possibilità di determinare le differenze tra l’organismo di partenza e quello modificato) e per l’identificazione univoca di un cambiamento ottenuto da una tecnica di modificazione genetica. Prima delle NBT si cercavano (sfruttando la variabilità naturale) o si producevano (usando il DNA ricombinante) forme mutate di un certo gene per vedere cosa succedeva, ma questo poneva due ordini di problemi: da una parte sperare di trovare in natura o in piante mutate artificialmente (con le radiazioni o con la chimica) la mutazione ritenuta utile e, dall’altra, la necessità di disattivare la copia “normale” di quel gene o spostare il gene in una pianta nella quale non esista. Le New Breeding Techniques permettono, invece, sia di definire la funzione di un gene e come la sua struttura determina tale funzione sia di modificarlo a piacimento senza spostarlo dalla sua posizione naturale nel genoma e senza aggiungere nuove copie (normali o mutate) dello stesso gene. L’epigenetica studia, appunto, i cambiamenti ereditabili nella funzione di geni senza alterazioni nella sequenza nucleotidica. Con il Genome Editing è possibileeseguire modificazioni mirate identiche a quelle spontanee, analoghe a quelle ottenibili da incrocio ma più veloci, annullando le modificazioni indesiderate, preservando intatto il genotipo di partenza, senza dover ricorre all’autofecondazione per mutazioni recessive o a incroci complessi e/o reincroci.

 

GLI ASPETTI NORMATIVI

Le norme dell’Unione Europea in materia ambientale mirano a un elevato livello di tutela dell’ambiente e della salute umana e animale, si basano sul principio di precauzione e sul principio “chi inquina paga” e tengono conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Un organismo è qualificato come OGM quando il suo materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura (modificazione non naturale del patrimonio genetico). Un OGM ricade, quindi, nel campo di applicazione della Direttiva 2001/18/CE quando la modificazione genetica produce l’incorporazione di nuove combinazioni geniche esogene, che non compaiono in natura e che si trasmettono alle generazioni successive. La direttiva non fa però esplicito riferimento alla transgenesi e si applica al prodotto finale (un prodotto finale che non contiene più DNA estraneo che pure era stato introdotto nel suo genoma in qualche fase del processo di ingegnerizzazione non ricade sotto gli scopi della direttiva). La Valutazione del Rischio Ambientale prevista dagli artt. 6 e 7 ha per oggetto le seguenti aree di rischio: persistenza e invasività della pianta GM compreso il trasferimento genico da pianta a pianta, trasferimento genico dalla pianta ai microrganismi, interazioni tra pianta GM e organismi target, interazioni tra pianta GM e organismi non target, impatti delle specifiche tecniche di coltivazione, gestione e raccolta, effetti sui processi biogeochimici, effetti sulla salute umana e animale. Il Panel OGM dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ritiene che gli elementi presi in considerazione nelle sue linee guida del 2010 sulla VRA delle piante geneticamente modificate (caratterizzazione della pianta, tratto, ambiente ricevente, usi previsti, cambiamenti nella gestione agraria, combinazioni di tutti questi fattori) possono essere applicati anche alle piante ottenute tramite Cisgenesi/Intragenesi e Nucleasi zinc finger 3. Dal punto di vista normativo, scientifico, normativo, logico ed economico potrebbe però essere un grave errore l’eventuale decisione di regolamentare come OGM tutti i prodotti del Genome Editing che risultino indistinguibili da eventuali mutazioni naturali. La domanda se tutte le NBT producano piante che devono essere regolamentate come OGM è correlata al fatto che il termine Organismo Geneticamente Modificato ha, secondo alcuni, un significato legale e un utilizzo retorico, ma non un significato scientifico univoco. Fintanto che la Direttiva rimarrà invariata, l’inquadramento delle tecniche di Genome Editing e degli organismi ottenuti con la loro applicazione, ove non presentino combinazioni di geni diverse da quelle potenzialmente risultanti da mutagenesi casuale naturale o incrocio, dovrebbero invece tenere in considerazione i criteri di inclusione (modificazione non naturale del patrimonio genetico, nuove combinazioni geniche ereditabili, prodotto finale) e il criterio di esclusione (non utilizzo di acido nucleico ricombinante) elencati dagli artt. 2 e 3 della direttiva europea. Un approccio caso per caso, comparando le NBT con altre tecniche e  confrontando gli organismi prodotti mediante l’applicazione delle NBT con quelli prodotti con altre tecniche e/o metodi, potrebbe portare questi possibili scenari:

·       non sono OGM gli organismi ottenuti con una NBT che non soddisfano i criteri di cui all’articolo 2.2 (definizione, allegato I A, parte1)

·       sono OGM ma sono esclusi dal campo di applicazione della direttiva gli organismi ottenuti con una NBT che soddisfano i criteri di cui all’articolo 2.2 ma rientrano nella deroga di cui all’articolo 3.1 (allegato I B)

·       sono OGM e rientrano pienamente nel campo di applicazione della direttiva gli organismi ottenuti una NBT che soddisfano i criteri di cui all’articolo 2.2 e non rientrano nella deroga ai sensi dell’allegato I B

Impossibile, comunque, dare oggi un’interpretazione univoca della norma. In molti casi, peraltro, il prodotto finale (pianta/animale) non è transgenico, molti cambiamenti sono indistinguibili da mutazioni naturali o indotte casualmente e la maggior differenza tra i due approcci consiste proprio nella maggior precisione delle nuove tecniche e quindi nel minor rischio di effetti imprevisti. Nonostante ripetuti annunci la UE non si è ancora pronunciata (si attende il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea) e l’incertezza normativa costituisce un freno all’innovazione, mentre arrivano forti consensi da Società e Accademie scientifiche ed altri Enti internazionali.

 

LA POSIZIONE DEI PRINCIPALI PORTATORI D’INTERESSE ITALIANI

Nel 2017 il Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze per la Vita (CNBBSV), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1992 in attuazione delle Direttive europee, ha svolto un’estesa consultazione tra diversi stakeholder individuati negli organi di ricerca e nelle associazioni scientifiche, di categoria e industriali italiani, i cui risultati sono stati poi pubblicati in un documento diretto a rappresentare le posizioni sulle New Breeding Techniques  applicate al comparto agrario e a fornire elementi utili per un’interpretazione e revisione legislativa in materia. La complessità delle prospettive e delle sfide che si aprono con l’uso delle NBT nel settore agroalimentare (sia sul versante delle colture vegetali e degli animali da allevamento che dei microrganismi utilizzati nelle trasformazioni) non può essere risolta con un approccio che pretende di classificare i prodotti ammissibili in base alla specifica tecnica e strategia impiegata. Molte delle tecniche possono essere combinate fra di loro e molti dei prodotti delle varie strategie rischiano di risultare indistinguibili e difficilmente tracciabili. E’ ragionevole quindi giudicare le nuove varietà caso per caso in base ai caratteri, alla specie e all’ambiente, cioè in base ai rischi e ai benefici, paragonandoli a quelli delle varietà che andrebbero a sostituire. Le NBT costituiscono, infatti, un gruppo eterogeneo di tecniche che devono essere analizzate individualmente, che non sostituiscono ma complementano le tecniche di miglioramento genetico convenzionali in diversi casi velocizzandole e che, come tutte le tecniche, possono produrre “effetti non voluti” ma non necessariamente dannosi. In generale, peraltro, la frequenza di “effetti non voluti” nel prodotto finale è minore con le NBT rispetto alle tecniche convenzionali e la valutazione della sicurezza può essere effettuata solo caso per caso: ci si può attendere che piante geneticamente e fenotipicamente simili ma ottenute con tecniche diverse non presentino rischi significativamente differenti e spesso è difficile se non impossibile identificare la tecnica utilizzata per introdurre una modificazione genetica. Dal punto di vista scientifico va, dunque, ribadito che non è assolutamente difendibile normare differentemente prodotti che abbiano mutazioni identiche o paragonabili nello stesso gene o negli stessi geni. L’opinione praticamente unanime della comunità scientifica è che l’unica normativa accettabile sia del tipo “product based”, con un grado di scrutinio proporzionale rispetto i rischi. La raccomandazione è, in conclusione, quella di sviluppare processi di analisi del rischio che siano rigorosi, predicibili, trasparenti e proporzionali rispetto alla complessità dei prodotti biotecnologici che pretendono di normare, con una sorta di “triage” che distingua le situazioni in base alla gravità o innocuità dei rischi coinvolti. Ma viene, però, sottolineato come una regolamentazione superfluamente complessa rischi di favorire l’imitazione piuttosto che l’innovazione del settore biotecnologico.

 

VITICOLTURA EUROPEA E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

Tra i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile firmata nel 2015 da 150 leader internazionali, figura quello in cui ci si prefigge di “porre fine alla fame, realizzare la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile”. Se da una parte questo obiettivo viene esplicitato nel raddoppio della produttività agricola e del reddito dei produttori di cibo su piccola scala anche attraverso un accesso sicuro e paritario a terreni e alle altre risorse produttive, alle conoscenze, ai servizi finanziari, ai mercati e alle opportunità di valore aggiunto e di occupazione non agricola, dall’altra si propone di garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e implementare pratiche agricole che aumentino la produttività e la produzione, che aiutino a mantenere gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, condizioni meteorologiche estreme, siccità, inondazioni e altri disastri e che migliorino progressivamente il territorio e la qualità del suolo. Risultati che, secondo una crescente fetta della comunità scientifica, potrebbero essere più facilmente raggiunti proprio dalle NBT, che raggruppano recenti tecnologie molto diverse tra loro raffinando ed estendendo tecniche convenzionali e tecniche consolidate di modificazione genetica.

Per quanto riguarda ad esempio la viticoltura, il Rapporto Eurostat del 2007 ha attestato il forte impatto dei fungicidi: su 3,5 milioni di ettari di vigneti (pari al 3.3% dei terreni agricoli dell’Unione Europea) ne sono state utilizzate 60.000 tonnellate (pari al 65% di tutti i fungicidi usati in agricoltura nella UE). Mentre Genome Editing e Cisgenesi rendono prevedibile una significativa riduzione (70-90%) dei fungicidi per alcune colture. L’innovazione varietale sembrerebbe allora porsi come necessaria per migliorare la sostenibilità ambientale, economica e sociale delle pratiche agricole anche perché alcune delle vecchie cultivar sono come auto d’epoca che hanno un mercato ma solo “di nicchia”.  Mantenere la leadership in un settore come quello del vino, che vale per l’Italia oltre 14 miliardi di euro, salvaguardando allo stesso tempo la biodiversità e il profilo qualitativo delle uve, significa investire con convinzione nella ricerca pubblica. E’ con questa consapevolezza che siamo stati protagonisti, insieme alla Francia, del sequenziamento del genoma della vite e che abbiamo negli ultimi anni sviluppato filoni di studio per ottenere vitigni più forti. Come quello condotto dall’Università e dall’Istituto di genomica applicata di Udine che nel 2016, grazie a studi e incroci condotti a partire dal 1998, hanno sviluppato, iscritto nel registro nazionale delle varietà di vite e immesso sul mercato dieci nuovi vitigni (5 uve a bacca bianca e 5 a bacca rossa) caratterizzati  da una maggiore resistenza a malattie come la peronospora e lo oidio.

 

IL PROGETTO BIOTECH DEL CREA

Una prospettiva concreta per le NBT in Italia è rappresentata da BIOTECH (Biotecnologie sostenibili per l’agricoltura italiana), un progetto di ricerca che coinvolge solo enti pubblici e opera su una quindicina di specie. Sostenuto dalla Legge n. 208/2015 e messo a punto all’inizio del 2018, BIOTECH si propone di promuovere un know how diffuso delle NBT in Italia sulla base della normativa oggi vigente, dando continuità agli investimenti fatti dal MIPAAF per il sequenziamento del genoma di molte specie coltivate e senza ricorrere alla sperimentazione in campo delle piante che saranno ottenute. I risultati potranno poi essere testati in campo e/o implementati attraverso altre strade e la definizione della normativa impatterà su come le conoscenze generate dal progetto verranno traslate in applicazioni commerciali (varietà direttamente editate e/o conoscenze sulla funzione genica come presupposto per breeding assistito).

 

CITTÀ DEL VINO SULLE NEW BREEDING TECHNIQUES

L’Associazione nazionale delle Città del Vino condivide da sempre le preoccupazioni sulla coltivazione e l’impiego degli organismi geneticamente modificati e si è impegnata in vario modo sul fronte del NO, dalla campagna dei “Comuni Ogm Free” nel 2003 all’adesione alla Task Force della Coalizione Italia Europa Liberi da Ogm, fino alla costante partecipazione ai lavori di approfondimento degli Stati Generali della Green Economy sulle problematiche e sulle opportunità legate alle filiere agricole di qualità ecologica. Oggi guarda con molta attenzione e prudenza alle New Breeding Techniques, appoggia caldamente tutte le forme di sostegno alla ricerca pubblica in agricoltura e auspica l’ulteriore sviluppo delle migliori tecnologie per tutelare le nostre produzioni,  ma chiede con fermezza che anche per le NBT siano adottati  principi di precauzione e di valutazione dei rischi su salute e ambiente, chiarezza e certezza normativa, massima trasparenza al consumatore, salvaguardia della sostenibilità ambientale e tutela della sovranità alimentare dei popoli. (Alessandra Calzecchi Onesti)

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