Il paesaggio di Ardauli, nella regione storica del Barigadu, è dominato da dolci colline dove prosperano l’oliveto e il vigneto lavorati ancora con metodi tradizionali; in queste vigne, in cui la vite è allevata ad alberello e l’aratura avviene ancora con l’asino, si coltivano decine di uve differenti: Bovale Sardo, Bovale di Spagna, Moscatello, Semidano, Vermentino, Nasco, Barbera Sarda, ecc.
Il vino bianco, ottenuto da uve Nuragus nella misura non inferiore all’80% (chiamato ad Ardauli Mravasia), era conosciuto ed apprezzato in tutta l’isola. Fino agli anni ’50 del Novecento anche l’allevamento di viti su sostegni vivi (quali querce, bagolari, lecci, frassini) era diffusissimo, soprattutto lungo i corsi d’acqua e i confini di proprietà.
Questo territorio è risultato particolarmente ricco di palmenti rupestri, chiamati qui lacos de catzigare (vasche per la pigiatura), alcuni dei quali utilizzati fino ad epoca recente. La tipologia più comune, scavata nella roccia affiorante, è costituita da un sistema di due vasche comunicanti attraverso un foro o un’apertura a canaletta. Parte di questi manufatti sono stati censiti e catalogati nel corso di recenti indagini archeologiche.
Grazie a un concorso fotografico, organizzato dall’associazione archeologica Paleoworking Sardegna, sono stati censiti ben 64 palmenti rupestri, 32 dei quali estranei al patrimonio già catalogato.
Tra di essi, di particolare importanza è risultato il palmento individuato in località Murtedu
L’impianto, delimitato da un muretto a secco, è costituito da un sistema di due vasche: la vasca di pigiatura e la vasca di raccolta. La vasca di pigiatura, scavata in profondità nella roccia (0,70-0,45 m), presenta forma quadrangolare (2,20×2,32 m). Un canale di scolo, ricavato in cima alla parete corta anteriore, pone oggi in comunicazione la vasca di pigiatura con quella di raccolta. Il riempimento della prima vasca impedisce di verificare la presenza di un foro centrale posizionato di solito a livello del pavimento.
La vasca di raccolta, decentrata e posta a una quota più bassa, presenta forma rettangolare (1,50×0,70 m). La superficie rocciosa intorno al palmento, risulta circoscritta da un solco subcircolare funzionale forse a proteggere l’impianto dallo scolo delle acque piovane. Oltre a ciò si osservano altre canalette poco profonde e quattro buchi di palo posti in corrispondenza dei vertici dell’impianto. Circa la produzione del mosto, è probabile che le uve venissero pigiate con i piedi nella vasca di pigiatura, aiutandosi anche con l’aiuto di apposite funi pendenti dal soffitto di una tettoia, documentata indirettamente dai succitati buchi di palo presenti ai margini dell’impianto.
Complesso appare oggi estrapolare un quadro cronologico certo relativo all’utilizzo del manufatto oggetto di studio, il quale ha subito probabilmente diverse fasi di sfruttamento.
Significative informazioni sono deducibili dal raffronto fra l’impianto di Murtedu – attribuibile al Tipo III (sono stati definiti cinque tipi di palmenti rupestri) – e quelli individuati finora nell’isola, soprattutto con quei casi per i quali si dispone di una cronologia certa. Il Tipo III è caratterizzato dalla presenza di due vasche quadrangolari e/o rettangolari scavate più o meno in profondità, poste in comunicazione attraverso un foro di scolo oppure un vero e proprio gocciolatoio, localizzati lungo la parete che le separa.
I confronti più stringenti sono istituibili con i palmenti rinvenuti sempre ad Ardauli, nelle località di Arzolas e Sos Eremos. Il palmento di Arzolas faceva parte di un complesso più ampio comprendente anche diversi bacini scavati nella roccia; poco distante, in prossimità dei ruderi della chiesetta campestre di Santu Liori, sono attestati alcuni cippi funerari di epoca romana tra cui uno del tipo “a capanna” (I-II sec. d.C.).
Nel sito di Sos Eremos sono stati individuati ben 12 impianti funzionali alla produzione del vino: 10 impianti fissi e 2 impianti mobili. Il materiale ceramico rinvenuto a Sos Eremos, databile fra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. e un sarcofago in trachite attribuibile al IV-V sec. d.C., indicano una frequentazione in epoca romana e altomedievale.
Fuori dalla regione storica del Barigadu, palmenti caratterizzati dalla presenza di vasche quadrangolari, sono presenti anche a Bosa in località S’Abba Druche. L’insediamento produttivo di Bosa è costituito da tre palmenti rupestri scavati su un bancone di tufo andesitico: ciascuno comprende due vasche disposte in pendenza e collegate mediante un foro o un gocciolatoio sporgente. Nei palmenti individuati in quest’ultima località, oltre alla forma delle vasche, le somiglianze riguardano anche la canaletta che circonda l’impianto e i buchi di palo funzionali a sostenere, con ogni probabilità, la copertura del manufatto. Nell’area di S’Abba Druche, delimitata da una struttura muraria con andamento irregolare, sono attestate presenze risalenti all’età nuragica, punica e romana.
Anche nel comune di Padria, in località Badde Usai, è stato individuato un palmento rupestre costituito da due vasche di forma quadrangolare, circoscritto da una canaletta che termina alla base dell’affioramento roccioso che ospita l’impianto; si ritrovano anche qui i buchi di palo necessari a sorreggere, probabilmente, una tettoia.
Il palmento è l’unica evidenza archeologica tuttora visibile nell’area considerata.
Per quanto riguarda la cronologia, sulla base dei dati di scavo e dei confronti proposti, l’uso del palmento di Murtedu potrebbe essere cominciato almeno nel I sec. a.C. e proseguito poi fino ai giorni nostri. Tuttavia, dai risultati dell’indagine qui esposti emerge la necessità di uno studio sistematico e approfondito degli impianti sardi, anche attraverso l’utilizzo di nuove metodologie quali ad esempio l’analisi dei residui e la tracceologia.
di Cinzia Loi, Dottore di ricerca in archeologia presso l’Università degli Studi di Sassari (Scuola di dottorato “Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo” XXVIII Ciclo) con un progetto di ricerca dal titolo: I pressoi litici fra classificazione tipologica e indagine sperimentale. Ha partecipato a numerose campagne di scavo in Italia ed all’estero in collaborazione con Università ed Enti preposti alla tutela del patrimonio culturale. Il suo principale interesse è legato allo studio della cultura materiale e all’etnografia. Dal 2005 si occupa di archeologia sperimentale sia con progetti di ricerca sia di divulgazione attraverso percorsi di didattica per le scuole. E’autrice di numerose pubblicazioni relative alla regione storica del Barigadu (Sardegna centrale) ricca di importanti testimonianze di epoca preistorica e protostorica. Tira con l’arco preistorico ed è presidente dell’associazione Paleoworking Sardegna (www.paleoworkingsargdegna.org).