Il centro storico di Oliena è tutt’oggi ben conservato; Le strade, fatte di acciottolato, o d’impredau, come si dice in paese, ospitano le antiche case, tutte vicine tra loro, che sembrano essere sorte con lo scopo di proteggersi l’una con l’altra. Anche se in gran parte disabitate, le antiche abitazioni conservano intatta la loro struttura originaria.
Avevano quasi tutte un cortile interno, Su porciu, la caratteristica arcata che predominava l’architettura del paese. Di solito allo stesso cortile si affacciavano 3-4 famiglie, quasi sempre appartenenti allo stesso ceppo. Entro il cortile stava il pozzo, e Sa bicocca con la scala di granito in bella vista. Il centro della vita domestica era la cucina, al centro della quale sorgeva su ohile, dove si faceva il fuoco. Non tutti infatti si potevano permettere il caminetto. Il tetto, fatto sempre con canne sostenute da grosse travi, era facilmente deteriorabile. Se la casa possedeva un secondo piano, il pavimento dell’elevato era in paglia, in sardo paggia. Non mancava un piccolo riparo per le capre, che ogni famiglia possedeva. La porta d’ingresso dava sulla strada ed era rialzata rispetto al suolo, per impedire l’ingresso dell’acqua e di animali.
C’erano però anche alcune case ben fatte, appartenenti alle famiglie più ricche. Sui muri del centro, si possono osservare oggi svariati murales, che riproducono scene di vita paesana.
Architetture religiose
Uno degli aspetti più caratterizzanti dell’insediamento urbano di Oliena è indubbiamente l’elevato numero di chiese che sorgono nell’abitato. Gli undici edifici religiosi ricordati da Vittorio Angius nel 1843 sono tuttora visibili, anche se, oggi come allora, due sono naturalmente le chiese emergenti per importanza e dimensioni: la chiesa ex-gesuitica di S. Ignazio e l’antica parrocchiale di Santa Maria, entrambe fornite di un «peso» urbanistico notevole, sia per la posizione, sia per gli svettanti campanili.
A questo si aggiunge un insieme di chiese minori, alcune un tempo ai margini dell’abitato, oggi tutte (tranne Nostra Signora di Bonaria) inglobate nel paese. La propaganda della fede e la conseguente fondazione di nuovi luoghi di culto, grandemente incoraggiati dalle istanze della Controriforma, possono spiegare l’abbondanza di chiese, legate spesso a confraternite e favorite dalle buone condizioni economiche dei paese, soprattutto nel Sei-Settecento. Vi erano due chiese appartenenti a ordini religiosi, mentre un condaghe testimonia l’esistenza della chiesa di San Leo (i conti vanno dal 1615 al 1635), presente nella toponomastica odierna, come del resto la piazza “Sant’Idogli”, che ricorda una chiesa medioevale, di San Giorgio, non più menzionata dal Seicento. A parte le due chiese maggiori, complesse urbanisticamente e planimetricamente, si può ipotizzare per le altre uno schema planimetrico costante pur con qualche variazione:
– aula unica con archi di rinforzo sostenuti da pilastri che esternamente, talvolta, divengono contrafforti;
– campata terminale che diventa presbiterio;
– copertura a spioventi, in alcuni casi con tavolato di legno;
– campanile a vela, spesso con bizzarre variazioni decorative;
– arredo interno, sovente ricavato in economia nella muratura.
Testo di Franco Masala
Economia
L’economia è in prevalenza agricola con vigneti, oliveti e mandorleti e allevamenti di ovini e caprini, cui si affiancano aziende alimentari (pregiati vini DOC, salumi e formaggi tipici); molto attivo l’artigianato dell’oreficeria, del legno intagliato e dei caratteristici scialli di seta ricamati che fanno parte dello splendido costume tradizionale femminile. È attivo il turismo di villeggiatura estiva ed escursionistico al Supramonte, alle sorgenti carsiche di su Gologone e alle numerose grotte.