Auguri all’Aglianico del Vulture

27/01/2021

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1971 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

AGLIANICO DEL VULTURE

Disciplinare: DPR 18.02.1971 (G.U. 129 – 22.05.1971)

Regione: Basilicata

Provincia: Potenza

Enoregione: VULTURE

Città del Vino: Comune di Venosa, Comune di Ripacandida, Comune di Rionero in Vulture, Comune di Rapolla, Comune di Maschito, Comune di Ginestra, Comune di Barile, Comune di Acerenza

Tipologie: Aglianico del Vulture, Aglianico del Vulture Spumante

Vitigni: Aglianico del Vulture Nero e/o Aglianico Nero

Cenni storici e/o geografici: La zona geografica delimitata ricade nella parte nord della Regione Basilicata e comprende un territorio di alta e media collina. Per la coltivazione dell’Aglianico sono ritenuti idonei unicamente i vigneti su terreni collinari di origine vulcanica o comunque di buona costituzione, situati tra i 200 e i 700 metri s.l.m. L’Aglianico del Vulture (come tutti i vitigni appartenenti all’Aglianico) ha origini assai remote e si ritiene che sia stato introdotto dai Greci nel sud Italia tra il VII-VI secolo a.C. Altre fonti storiche che certificano l’antichità di questo vitigno sono costituite dai resti di un torchio dell’età romana ritrovati nella zona di Rionero in Vulture e da una moneta bronzea raffigurante l’agreste divinità di Dionisio, il cui culto fu poi ricondotto a quello di Bacco, coniata nella zona di Venosa nel IV secolo a.C. Gli antichi romani lo ribattezzarono poi "Vitis Ellenica" e sfruttarono l’Aglianico per produrre il Falerno. L’origine del suo nome è incerta, c’è chi sostiene che sia ispirato all’antica città di Elea (Eleanico), sulla costa tirrenica della Lucania, e chi lo considera una semplice storpiatura della parola Ellenico. Una delle testimonianze storico-letterarie sulla storia di questo vitigno sono state lasciate da Orazio, scrittore e poeta latino originario di Venosa che esaltò le bellezze della sua terra e il vino in questione. Il nome originario (che sia stato Elleanico o Ellenico) fu cambiato nell’attuale Aglianico durante la dominazione aragonese nel corso del XV secolo, a causa della doppia ‘l’ pronunciata ‘gl’ nell’uso fonetico spagnolo. Il territorio del Vulture ha poggiato molto della sua economia enologica sulla produzione degli spumanti, permettendo agli operatori locali di acquisire rilevante notorietà anche fuori regione, con grandi quantità di spumante destinato a banchetti nuziali, feste patronali e festività religiose; famose erano le richieste provenienti dal Vaticano che venivano soddisfatte regolarmente con cadenza annuale. Le prime produzioni risalgono agli inizi del 1900 ma è intorno agli anni 1950-1960 che si raggiunge il picco ed ancora oggi alcune aziende si specializzano in tale settore.

Abbinamenti: Primi piatti al ragù, carni alla griglia e arrosto, carni rosse e pollame, pollo alla potentina, caciocavallo, formaggi stagionati. Lo Spumante è ottimo come aperitivo o insieme a frutta secca e dolci.

 

Prodotto: CACIOCAVALLO PODOLICO DELLA BASILICATA (PAT E PRESIDIO SLOW FOOD)

Descrizione: Formaggio prodotto da maggio a giugno con la tecnica detta «a pasta filata» tipica della tradizione casearia dell’Italia del sud e ricavato dal latte intero della Podolica, razza bovina ancora presente sull’Appennino meridionale benché fortemente ridotta. Il caciocavallo deriva il suo nome dal modo in cui sono legate le forme durante la stagionatura (e cioè legate insieme e poste a cavallo di un bastone orizzontale), che va dai tre mesi fino ai quattro-cinque anni. Ottimo con il pane casereccio, il suo sapore dolce, che diventa decisamente piccante se fatto con caglio di capretto, si accompagna bene sia a quello agrodolce della marmellata di cipollacci – altro prodotto tipico della Basilicata, dove è utilizzata anche per farcire pizze dolci – sia a quello un po’ amaro del miele di castagno o di corbezzolo.

 

Piatto: CALZONI DI CECI (O CAUZNCIDD, CAUZANCIEDD’, CALZONCINI, PANZAROTTI) (PAT)

Descrizione: A Natale i calzoncelli si preparano un po’ in tutto il sud Italia, con alcune varianti nel nome, nella modalità di preparazione, nella forma, nella grandezza e nel tipo di ripieno. Sono dolci tradizionali delle feste, che un tempo vedevano le donne di più famiglie riunirsi per farne un gran numero in comunità, risparmiando così sulla legna e sull’olio. Forse derivano dai bukunotet (calzoncini ripieni di marmellata, di crema di castagne o di ceci, di mostarda o di ricotta) molto amati nelle comunità albanesi che, insediatesi nel corso dei secoli in alcune aree del Mezzogiorno, hanno condizionato in larga parte la cucina locale. In Basilicata da una pasta morbida e omogenea di farina, uova, olio di oliva e vino bianco si ricavano delle sottili sfoglie lunghe e strette sulle quali, ogni quattro o cinque centimetri, si dispone un mezzo cucchiaio di crema di ceci e/o di castagne lessate, setacciate e condite con cioccolato fondente, zucchero e liquore profumato tipo Strega. Alcuni sostituiscono la cioccolata e il liquore con scorza grattugiata di arancia e mandarino, cannella, chiodi di garofano e mosto cotto. Si richiude con metà della sfoglia usata e si ritagliano dei piccoli calzoni, da friggere in olio di semi caldo fino a che diventano dorati. Prima di servirli vengono spolverizzati con zucchero a velo e un pizzico di cannella oppure immersi nel miele sciolto a bagnomaria e decorati con gli zuccherini colorati. In ambiente fresco si conservano anche per quattro o cinque giorni.