Auguri alla DOC Siracusa

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29/05/2023

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1973 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

Disciplinare: Approvato con D.P.R. 26.06.1973 G.U. 315 – 06.12.1973

Regione: Sicilia

Provincia/e: Siracusa

Enoregione/i: SICILIA ORIENTALE

Tipologie: “Siracusa” Moscato, “Siracusa” Moscato Spumante, “Siracusa” Passito, “Siracusa” Nero d’Avola, “Siracusa” Syrah, “Siracusa” Rosso, “Siracusa” Bianco

Vitigno/i: A seconda delle tipologie: Moscato bianco/Nero d’Avola/ Syrah per almeno l’85%, Moscato bianco per almeno il 40%, Nero d’Avola per almeno il 65%; possono concorrere per un massimo del 15%/35%/60% altri vitigni a bacca bianca o rossa, idonei alla coltivazione nella regione Siciliana.

Cenni storici e/o geografici: La zona di produzione della DOC “Siracusa” appartiene ad una plaga di antichissima tradizione vitivinicola; la presenza della vitivinicoltura è testimoniata sin dai tempi della colonizzazione greca della Sicilia orientale. Il Moscato di Siracusa viene infatti identificato (S. Landolina Nava 1802) con il Pollio siracusano, il più antico vino d’Italia, così chiamato dal nome del re tracio che governò Siracusa nel VII sec. A.C. Nel 1768, G. A. Arnolfini annovera il Moscato di Siracusa tra i vini degni di nota. Nell’Ottocento la produzione pregiata di Moscato di Siracusa si aveva nei terreni calcareo argillosi, bianchi, tra Siracusa e Floridia (B. Pastena 1999). Il Briosi (1879) dice del Moscato di Siracusa che nell’Ottocento esso era considerato “rinomato nel commercio di tutto il mondo”. Nel 1900 due Moscati di Siracusa vengono premiati all’esposizione universale di Parigi. Nel 1848 il comune di Siracusa poteva vantare ben 1.400 ettari vitati, secondo solo a Noto con 5.852 ettari, a testimonianza della importanza che rivestiva la vitivinicoltura in questa zona (Pastena 1999). A fine ‘800 si ha testimonianza anche di altri rinomati vini bianchi tra cui l’Albanello di cui esistevano due tipi, uno secco e uno dolce. Gli Albanelli più famosi si producevano a Siracusa e Floridia ma anche ad Avola e Noto (Pastena 1999). Ma questa zona era rinomata anche per i vini rossi; risale intorno agli anni 1774-77 un primo riferimento al Nero d’Avola, da parte del fiorentino Domenico Sistini, bibliotecario presso il Principe Biscari, a Catania; descrivendo i vigneti del siracusano annota che tale vitigno produce una “ottima qualità di vino”. Questi vini rossi di Siracusa, derivati dalle uve del Nero d’Avola, erano ancora più colorati ed alcolici di quelli di Pachino ed erano molto richiesti intorno al 1800 dal Mezzogiorno della Francia che li dirottava verso la Gironda e la Borgogna. Nella seconda metà dell’Ottocento l’invasione della fillossera distrugge gran parte dei vigneti dell’isola e nel siracusano (1884-1886) la vite viene soppiantata da altre colture. Agli inizi del XX secolo si diffuse la tecnica dell’innesto su vite americana resistente alla fillossera e la vite cominciò nuovamente a verdeggiare. La crisi economica conseguente alla fillossera e la guerra commerciale con la Francia segnarono la fine della produzione dei vini ad alta gradazione ed ad intenso colore, che venivano esportati in Francia come vini da taglio, ed aumentò la produzione dei vini da pasto a più moderato tenore alcolico, profumati e freschi, antesignani degli attuali vini a denominazione di origine Siracusa. La storia recente è caratterizzata da una evoluzione positiva della denominazione, con l’impianto di nuovi vigneti, la nascita di nuove aziende, la professionalità degli operatori che hanno contribuito ad accrescere il livello qualitativo e la rinomanza della denominazione come testimoniano i riconoscimenti in campo nazionale ed internazionale dei vini prodotti dalle aziende della zona geografica di riferimento.

 

Prodotto: RAGUSANO (DOP)

Descrizione: Antichissimo formaggio a pasta filata esportato fin dal Trecento oltre i confini del Regno di Sicilia, il cosacavaddu rausano è un caciocavallo cagliato con presame d’agnello o capretto, ottenuto da latte intero crudo delle vacche Modicane che pascolano nell’altopiano ibleo e che oggi rischiano l’estinzione. Tutta la lavorazione avviene con metodi artigianali tramandati per generazioni e con l’attrezzatura tradizionale: tina (tinozza di legno spesso fasciata in rame), rotula (asta di legno che termina a forma di disco), vascedde (canestri per la cagliata), manuvedda (bastone di legno), iaruozzu (contenitori di rame stagnato di varie dimensioni), pisaquagniu (pesa caglio di legno), quagnialuoru (contenitore in creta per conservare il caglio), mastredda (contenitore di legno a parallelepipedo per la formatura), staccio (piccolo tino di legno o rame stagnato in cui viene versata acqua calda per filare la pasta), muolitu (materiale in legno per dare forma al formaggio), cugni (tavolette di legno), marchiu (formetta di legno per la marchiatura). Caratteristica la storica forma a parallelepipedo ad angoli smussati, di mezzo metro di lunghezza e peso variabile tra i sei e i sedici chili. La crosta è gialla più o meno scura, liscia, sottile, lucida per la spennellatura con olio d’oliva. La pasta, compatta, è di colore bianco tendente al giallo paglierino, più o meno intenso. Il gusto, molto tipico, è dolce e aromatico con note floreali caratteristiche degli Iblei, tendente al piccante solo a stagionatura molto avanzata. La stagionatura, dai quattro mesi fino ai due anni e oltre, si svolge nei maizzè, locali freschi, umidi e ventilati a volte interrati, a volte cantine e grotte naturali, dove i formaggi legati a coppia con funi di liama o corde di cannu, di zammarra o di cotone sono appesi a cavaddu di una trave di legno. Si trova anche affumicato, sempre con processi rigorosamente naturali. Il tipo fresco o semistagionato è un ottimo formaggio da tavola da accompagnare con miele di eucalipto, da abbrustolire sulla griglia, da friggere bagnato nell’uovo sbattuto (cascavaddu frittu cu l’ova), da passare in olio con uno spicchio d’aglio e condire con aceto bianco e origano (cascavaddu all’argintera). In seguito si può accostare a verdure, servito a fette o a scaglie, o grattugiare in molti piatti regionali (pasta con le fave, ‘mpanata della notte di Natale, involtini di carne, molluschi gratinati al forno…). Superati i ventiquattro mesi di maturazione diventa un formaggio da meditazione.

 

Piatto: BIANCOMANGIARE (O BIANCU MANCIARI) (PAT)

Descrizione: Mandorle, pistacchi, ricotta e miele sono i protagonisti principali della pasticceria siciliana, la cui provenienza è quasi sempre araba poi trasferitasi nei conventi. Il biancomangiare era una diffusa preparazione medioevale di antica origine francese a base di petto di pollo, riso, latte, zenzero bianco, zucchero, lardo e altro ancora, dolce o salata secondo le diverse aree geografiche. Il nome è legato al colore dominante simbolo di purezza, ottenuto grazie al latte vaccino (nel blanc manger valdostano, a base di panna, zucchero e colla di pesce) o di mandorle (nella versione siciliana). Questo delicato budino tipico soprattutto della provincia di Ragusa è una crema finissima preparata con latte, zucchero, amido e buccia di limone. Lasciata raffreddare in apposite forme di terracotta, si serve cosparsa di mandorle o pistacchi (meglio se di Bronte, PAT e Presidio Slow Food) tritati e una spolverata di cannella su piatti ricoperti di foglie di arancio o di limone.