L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1970 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).
MARINO
Disciplinare: approvato con DPR 06.08.1970 (G.U. 279 – 03.11.1970)
Regione: Lazio
Provincia/e: Roma
Enoregione/i: CASTELLI ROMANI
Città del Vino: Comune di Roma Capitale, Comune di Marino
Tipologie: Marino anche nei tipi secco, abboccato, amabile o dolce; Marino superiore anche nei tipi secco, abboccato, amabile o dolce; Marino frizzante anche nei tipi abboccato o amabile; Marino spumante secco o amabile; Marino vendemmia tardiva amabile o dolce; Marino passito anche nei tipi amabile o dolce; Marino Malvasia del Lazio; Marino Trebbiano verde (Verdicchio bianco); Marino Greco; Marino Bellone; Marino Bombino. La specificazione Classico è consentita per i vini della zona di origine più antica e solo per le seguenti tipologie: Marino classico anche nei tipi secco, abboccato, amabile o dolce; Marino classico superiore anche nei tipi secco, abboccato, amabile o dolce; Marino classico vendemmia tardiva anche nei tipi amabile o dolce; Marino classico passito anche nei tipi amabile o dolce.
Vitigni: Malvasia bianca di Candia (nota come Malvasia rossa) non inferiore al 50%; possono concorrere alla produzione di detti vini altri vitigni a bacca bianca da soli o
congiuntamente, idonei alla coltivazione per la Regione Lazio, fino al massimo del 50% con esclusione dei vitigni aromatici. La denominazione con la specificazione di uno dei seguenti vitigni “Malvasia del Lazio, Trebbiano verde (sinonimo di Verdicchio bianco), Bellone, Greco e Bombino” è riservata ai vini ottenuti per almeno l’85% del corrispondente vitigno; possono concorrere per il restante 15% uve di colore analogo idonee alla coltivazione per la Regione Lazio, con esclusione dei vitigni aromatici.
Cenni storici e/o geografici: La zona geografica delimitata ricade nella parte centrale della regione Lazio, in Provincia di Roma: si estende su una superfici di circa 4.400 ettari, e comprende i versanti nord-occidentali dei Colli albani e la parte meridionale dell’Agro romano posta alle pendici del Vulcano laziale. Dal punto di vista geologico i terreni dei Colli albani e quelli pedocollinari hanno avuto origine da formazioni vulcaniche generate dalle eruzioni del Vulcano laziale, la cui attività è iniziata circa 600 mila anni fa. L’orografia collinare dell’areale di produzione costituita dalle pendici nordoccidentali del vulcano Laziale, e l’esposizione ad ovest, sudovest e sud concorrono a determinare un ambiente arioso, luminoso e con un suolo naturalmente sgrondante dalle acque reflue, particolarmente vocato per la coltivazione dei vigneti del “Marino”. La presenza della viticoltura nell’area delimitata risale all’epoca romana che destinavano a vigneto le terre più idonee e perciò preferivano il suolo vulcanico dell’antico vulcano laziale posto a sud di Roma. Nel corso dei secoli il vino di Marino ha continuato a godere notorietà tanto che nel 1536 fu servito alla mensa di Carlo V, l’uomo più potente del mondo, l’imperatore sul cui regno, si diceva, non tramontasse mai il sole, per quanto era esteso il suo dominio da un continente, il quale ebbe ad elogiarlo sopra tutti gli altri presenti alla sua pur vasta mensa. Nella Gerarchia cardinalizia (1703), il Piazza riporta per Marino che “Nel 1580 fu ceduto il Convento de’ Padri Agostiniani, commodo di moderne abitazioni, giardino, viali, e vigna ampia per diporto ameno de’ Religiosi, e per il loro congruo mantenimento sino al numero di dodeci, e più Religiosi”: chiaramente doveva trattarsi di una vigna molto estesa. Nella Corografia fisica, storica e statistica dell’ Italia (1843) Volume 10, il Zuccagni-Orlandini scrive “Il territorio di Marino è di una fertilità celebrata anche dagli antichi; le coltivazioni rurali vi prosperano , specialmente quelle degli erbaggi e del vino”, mentre “Sui colli albani e tusculani: lettere Di Oreste Raggi” (1844) si trova “Ora se ti piace conoscere l’industria e i costumi dei Marinesi oltre dall’abbondanza e bontà dei vini come in tutti questi d’intorni…”. Nei corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principe del territorio, fino all’attualità, come testimonia la Sagra dell’uva di Marino, forse prima in Italia in ordine di tempo, senz’altro la più famosa, la cui prima edizione si è svolta nel 1925: in occasione della Sagra dalle fontane pubbliche zampilla vino.
Abbinamenti: Variano a seconda della tipologia di questo vino bianco, dal colore che va dal giallo paglierino al giallo scarico, con odore vinoso e delicato e sapore secco o abboccato o amabile o dolce, caratteristico, fruttato. Bene accompagna antipasti saporiti, crostacei, piatti di pasta o secondi a base di pesce o pomodoro, spaghetti alla chitarra con rigaglie di pollo, carciofi alla romana e alla giudìa, frittate contadine, fritture e grigliate di pesce azzurro, anguilla in umido e arrosto, spezzatini di vitello, coniglio, pollo e interiora di agnello alla cacciatora nella versione romana (con aceto), fritture di cervella, animelle e verdure salumi dolci, cacioricotta e alcuni dolci.
Prodotto: CIAMBELLE AL VINO (O CIAMMELLETTE DE MAGRU O RISICHELLE) (PAT)
Descrizione: Sono un classico dolce da merenda o da fine pasto, magari accompagnate da un bicchiere di vino dolce. L’impasto è a base di farina, olio extravergine d’oliva, zucchero (una volta era miele), lievito in bustina, uova, buccia di limone grattugiata e vino bianco (mezzo litro con altrettanto olio extravergine, per un chilo e mezzo di farina). La cottura è al forno. Dorate, leggere e friabili, a volte si trovano insaporite con semi di anice o un trito di noci. Simili nell’impasto ma particolari nella cottura, perché vengono prima lessate in acqua bollente poi scolate, asciugate e ripassate in forno fino a doratura, sono le Ciambelle scottolate di Priverno (PAT), le Ciambelle col gelo (PAT) ricoperte da sciroppo di zucchero che raffreddandosi assume colore bianco, le Ciambelle all’acqua di Maenza (PAT) e le Ciambelle n’cotte (PAT) del Reatino. C’è anche la versione salata (PAT) aromatizzata all’anice, con cui accompagnare i salumi la mattina di Pasqua.
Piatto: CARCIOFI ALLA GIUDÌA
Descrizione: Il nome deriva dalla consuetudine delle massaie che abitavano nel ghetto ebraico di Roma di preparare questo piatto soprattutto per celebrare il termine del Kippur o festa dell’espiazione, giorno di digiuno totale in cui ci si astiene dal mangiare, dal bere e da qualsiasi lavoro o divertimento per dedicarsi solo al raccoglimento e alla preghiera. I carciofi più adatti sono senza dubbio quelli del tipo Romanesco del Lazio (IGP), chiamati anche cimaroli o mammole, dalla forma rotonda senza spine, molto teneri e senza barba interna. Privati delle parti più dure e della punta e con i gambi accorciati, vanno immersi in acqua acidulata con limone dopo averne allargato con cura le foglie, scolati e asciugati. Si schiaccia ripetutamente il bulbo dei carciofi sul piano di lavoro in modo che si aprano a fiore, si condisce l’interno con pepe e sale e si lascia riposare per qualche minuto per far insaporire bene prima della cottura. Si mettono poi i carciofi in una padella per fritture dai bordi alti, riempita con abbondante olio extravergine di oliva in modo che ne siano ricoperti (la temperatura, calda ma non bollente, deve raggiungere i 160° C), e si fanno cuocere lentamente, girandoli spesso, per otto-dieci minuti. Dopo circa 20 minuti di raffreddamento su un vassoio, si cerca di aprire le foglie dall’interno verso l’esterno in modo che assumano la caratteristica forma a fiore prima di passarli di nuovo in olio molto caldo (sarà pronto quando, lasciandovi cadere una goccia d’acqua si verificherà un secco crepitio), questa volta con il gambo verso l’alto e schiacciandoli leggermente verso il basso per assicurarsi che si friggano anche all’interno. Quando le foglie saranno ben colorite e croccanti, vanno appoggiati delicatamente su carta assorbente per eliminare l’unto in eccesso e serviti subito.