Auguri al Moscato di Sorso-Sennori

21/03/2022

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1972 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

MOSCATO DI SORSO-SENNORI O MOSCATO DI SORSO O MOSCATO DI SENNORI    

Disciplinare: DPR 31.03.1972 (G.U. 193 – 26.07.1972 )

Regione: Sardegna

Provincia/e: Sassari

Enoregione/i: COSTA NORD OCCIDENTALE

Città del Vino: Comune di Sorso, Comune di Sennori

Tipologie: Moscato di Sorso – Sennori o Moscato di Sorso o Moscato di Sennori Bianco, Moscato di Sorso – Sennori o Moscato di Sorso o Moscato di Sennori Liquoroso, Moscato di Sorso – Sennori o Moscato di Sorso o Moscato di Sennori Passito, Moscato di Sorso – Sennori o Moscato di Sorso o Moscato di Sennori Spumante

Vitigni: Moscato bianco

Cenni storici e/o geografici: Il territorio interessato, che comprende la regione storicamente chiamata Romangia, è situato nella Sardegna Nord-Occidentale. L’evoluzione morfologica ha modellato queste formazioni in colline disposte ad anfiteatro verso il mare a nord e degradanti dolcemente verso la linea di costa, salvo dove il profilo del versante viene interrotto dall’affioramento di caratteristiche testate di strati rocciosi più resistenti all’erosione che proteggono le formazioni sottostanti. La particolare orografia collinare del territorio di produzione e la felice esposizione dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta. Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità. Anche il clima dell’areale di produzione, caratterizzato da precipitazioni medio-basse, (500 a 800 mm/anno), con scarse piogge estive ed aridità nei mesi di luglio e agosto, da una buona temperatura media annuale, unita ad una temperatura relativamente elevata nei mesi estivi e ottima insolazione nei mesi di settembre ed ottobre, con interessanti escursioni termiche fra il giorno e la note, consente alle uve una maturazione ottimale, contribuendo in maniera significativa alle particolari caratteristiche organolettiche del vino "Moscato di Sorso-Sennori". La storia viticola della Romangia è strettamente intrecciata con la cultura popolare, ricca di valori umani semplici, nella quale l’ospite gode sempre dell’accoglienza propria di una gente laboriosa, gelosa di un’identità storica, culturale e linguistica orgogliosamente preservata e tramandata, nota ed apprezzata anche oltre i confini della Sardegna. La coltivazione della vite nel territorio ha origini antichissime, come suggerisce il nome stesso, di derivazione romanica, “Romangia”, testimoniato in letteratura e confermato da diversi studi archeologici, fra i quali quelli effettuati in località “Geridu”, in Comune di Sorso, con reperti e ritrovamenti di vinaccioli carbonizzati, roncole per la potatura e per la vendemmia, boccali di ceramiche usati per bere il vino e vasi vinari. Nel corso dei secoli la tradizione viticola si è tramandata e rafforzata; nella zona della “Pedraia”, nel territorio comunale di Sorso, gli archeologi hanno trovato un impianto di vinificazione scavato nella roccia calcarea, che reca incisa su un pilastro la data del 1602.” La notorietà di questo vino è documentata da numerose citazioni in letteratura (Spano, Manca dell’ Arca, Moris) e riportate anche negli annali dei quaderni della Facoltà di Agraria di Sassari. La vite è qui tuttora considerata coltura principe del territorio. La DOC Moscato di Sorso-Sennori è riferita a quattro tipologie di vino che dal punto di vista analitico ed organolettico presentano caratteristiche molto evidenti e peculiari che ne permettono una chiara individuazione e tipicizzazione legata all’ambiente geografico. In tutte le tipologie si riscontrano aromi floreali e fruttati tipici della cultivar di base, e con note, in particolare nelle tipologie Bianco, Passito e Liquoroso, di miele, mandorle e frutta secca.

 

Prodotto: PAPASSINOS (O PABASSINAS) (PAT)

Descrizione: Tradizione antica associata al culto dei morti (molto forte in Sardegna) e alla festa di Ognissanti, quando nei paesi della Barbagia è usanza che i bambini girino di casa in casa a chiedere un’offerta – frutta secca o dolci – per le anime dei morti che nella notte del primo novembre ritornano alle loro case. Per la decorazione di questi biscotti, operazione piuttosto laboriosa, un tempo le donne si riunivano a «incapparli» con la glassa bianca anche di notte. Si chiamano così perché nell’impasto è presente sa pabassa, cioè l’uvetta, e, poiché i sardi chiamano così tutte le preparazioni in cui questo ingrediente ha un ruolo preponderante, nelle diverse province è possibile trovare dolci assai diversi aventi lo stesso nome. Da un impasto di uova, zucchero, farina, burro o strutto, lievito vanigliato, vino cotto o sapa, uva sultanina, mandorle e noci tritate, scorze d’arancia o di limone, a volte anche spezie (cannella, chiodi di garofano, anice stellato), si ricavano dei piccoli rombi dello spessore di un centimetro, da cuocere in forno caldo a 180° C per circa venti minuti. Vanno poi ricoperti con la branitza (o cappa), ottenuta sbattendo vigorosamente sul fuoco molto basso (meglio se a bagnomaria) zucchero e albumi, fino a quando non si sarà formata una crema densa e candida, oppure con uno sciroppo di acqua e zucchero da passare e ripassare con un pennello finché raffreddandosi non conferisce ai biscotti un colore bianco panna. Si spolverizzano, infine, con i confettini colorati (sa trazea o sa traggera) e si lasciano raffreddare. In una scatola di latta si conservano a lungo.

 

Piatto: TILICCAS DI SABA (O TERICCAS O TILICCAS DE MENDULA E MELI)

DescrizioneDolci tipici del Logudoro e della Gallura (dove sono chiamati cucciuleddi), che anticamente venivano preparati in occasione delle feste più importanti come il Natale, i battesimi e i matrimoni. Da una sfoglia sottile di acqua, farina di grano duro, strutto e un pizzico di sale si ritagliano tanti rettangoli lunghi circa dieci centimetri e larghi tre. Su ognuno di questi si poggiano dei rotolini della lunghezza di otto centimetri, ricavati da un impasto consistente di farina di semola lasciata cuocere per un quarto d’ora circa insieme a miele, saba sarda (mosto di prima pigiatura fatto bollire lentamente e ristretto), mandorle o noci finemente tritate e la scorza di un’arancia privata della parte bianca e anch’essa tritata. I bordi laterali vanno richiusi lasciando la pasta leggermente socchiusa e ai cannoli così ottenuti vengono date forme diverse (fiori, cuori, spirali, ferri di cavallo, cerchi), prima di disporli su una teglia leggermente unta e infornarli a 150° C per venti minuti o fino a quando diventano leggermente dorati. Tolti dal forno e ancora caldi si possono decorare con una pioggia di confettini colorati. Si servono freddi e si mantengono a lungo. Una variante prevede che la sfoglia venga ritagliata a dischi di circa sei centimetri di diametro da farcire a due a due con il ripieno sigillandone bene i bordi e da decorare in superficie, una volta cotti, con la cappa bianca. Con lo stesso ripieno arricchito da cannella, vanillina e chiodi di garofano in alcune regioni della Sardegna si preparano i pistiddu, focacce dalle svariate forme (cuore, fiore…) decorate da bellissimi disegni floreali di pasta fatti a mano, che si consumano in occasione dei falò di Sant’Antonio a gennaio.

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