L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1970 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).
GRECO DI TUFO
Disciplinare: già DOC con DPR 26.03.1970 (G.U.130 – 26.05.1970), poi DOCG con DM 18.07.2003 (G.U. 180 – 05.08.2003)
Regione: Campania
Provincia/e: Avellino
Enoregione/i:IRPINIA
Città del Vino: Comune di Tufo, Comune di Petruro Irpino, Comune di Chianche, Pro Loco Planca
Tipologie: Greco di Tufo Bianco, Greco di Tufo Spumante
Vitigni: Greco Bianco: minimo 85% – Coda di Volpe bianca: massimo 15%
Cenni storici e/o geografici: La coltivazione della vite nell’area si perde nella notte dei tempi, intimamente connessa allo scorrere del fiume Sabato che l’attraversa e che deriva il nome dal popolo dei Sabini, una tribù dei Sanniti stanziatasi nel bacino del fiume Sabatus (Livio). Lungo le anse del fiume correvano e corrono, ancora oggi, le antiche vie che univano l’Irpinia al Sannio e ne alleavano le tribù. L’area si rafforza come nucleo d’insediamento e progresso per la viticultura nell’800 grazie alla scoperta di enormi giacimenti di zolfo nel comune di Tufo. La presenza e la disponibilità dello zolfo giovò all’esplosione della coltivazione della vite in tutta l’Irpinia, dando origine in contemporanea alla tecnica della “zolfatura” che permetteva di proteggere i grappoli dagli agenti patogeni esterni. Testimonianza della presenza costante della vite quale sostentamento economico delle popolazioni locali è data dalla bibliografia che tratta dell’evoluzione sociale ed economica dell’area nel periodo a cavallo del medioevo e l’Ottocento. Nel XIX secolo l’attività vitivinicola dell’intera provincia, con una produzione superiore a un milione di ettolitri largamente esportati, e quella dell’area del Greco di Tufo, sono l’asse economico portante dell’economia agricola di quegli anni e del tessuto sociale tanto da portare alla costruzione della prima strada ferrata d’Irpinia, da lì a poco chiamata propriamente “ferrovia del vino”, che collegava i migliori e maggiori centri di produzione vinicola delle Colline del Sabato e del Calore direttamente con i maggiori mercati italiani ed europei. Del vitigno Greco Bianco di Tufo gli studi di ampelografia e enologia succedutesi nel tempo dicono essere probabilmente l’Aminea Gemella degli antichi autori, il vitigno che è stato coltivato nel 1° secolo a.C. sulle falde del Vesuvio, da sempre molto apprezzato e coltivato per la superiore qualità del suo vino, di un colore giallo-dorato, ricco, intenso e profumato, gradevolissimo, di sapore delicato, aromatico e armonico, grazie anche alle terre profonde, di origine vulcanica e fresche. La forma di allevamento prevalente è la spalliera, con potature a guyot e cordone speronato a ridotta di gemme per ceppo finalizzate all’ottenimento di uve dal potenziale enologico qualitativamente ottimo e ben equilibrato. Tale sistema, nell’ultimo trentennio, ha progressivamente soppiantato l’antico “Sistema Avellinese”.
Abbinamenti: Pregiato vino da pesce e crostacei, nella tipologia Spumante è ottimo come aperitivo e per accompagnare antipasti freddi, risotti, funghi, insalate di mare con ortaggi e verdure, frittelle di alghe o di alici o acciughe, salumi locali come il capocollo o il prosciutto di Pietraroja, formaggi non stagionati e morbidi come lamozzarella di latte vaccino e il primo sale.
Prodotto: PROSCIUTTO DI PIETRAROJA (PAT)
Descrizione: Apprezzati già nel Settecento, questi prosciutti di grosse dimensioni vengono prima lasciati riposare per circa venti giorni senza conservanti e con una modesta quantità di sale grosso (grazie al clima fresco e ventilato si conservano comunque), appesi ad asciugare in un luogo fumoso per una settimana e poi sospesi tra i muri di pietra centenari di stanze asciutte e aerate, per un periodo che va dai dodici ai venti mesi al massimo. Durante le diverse fasi della lavorazione subiscono una serie di pressature in torchi di legno. Per tradizione la fetta, tagliata spessa, si consuma a tocchetti.
Piatto: PASTA CON LA COLATURA DI ALICI
Descrizione: Ruvida in superficie e di colore paglierino, la Pasta di Gragnano di grano duro (PAT) deve il suo sapore all’asciugatura graduale a un’aria leggermente umida, favorita dalla posizione del paese e dall’uso ancora attuale dell’antico sistema di essiccazione che non supera i 50-60° C (al posto dei 110° C del processo industriale), a imitazione del processo naturale, alla luce del sole. Si produce in diverse tipiche varietà: maccheroni, candele, mafaldine, schiaffoni, tripolini, millerighe, ziti. Recentemente riscoperta, fino a poco tempo fa la Colatura tradizionale di alici di Cetara (PAT e Presidio Slow Food) era solo un prodotto di casa da scambiare a Natale con i vicini in segno d’amicizia. Di diretta derivazione dal garum, antica salsa romana, è il liquido che si raccoglie a dicembre dai barili dove tra marzo e luglio le acciughe appena pescate sono state salate e pressate. Filtrato, imbottigliato – usando come tappo un mazzetto di origano – ed esposto al sole per un anno, si usa per condire pasta o riso, verdure fresche o lessate (in particolare la scarola) e piatti di pesce.