A Noto la Convention di Primavera delle Città del Vino

16/03/2018

Dalla Bellezza un mondo migliore. Invito a Noto Per la Covention di Primavera – 26/29 Aprile 2018

 

di CORRADO BONFANTI Sindaco di Noto

 

Attratti dall’eccezionale unità stilistica della città, ammaliati dalle forme del barocco siciliano, dalla bellezza della costa, dal favore del clima, i visitatori che, ogni anno più numerosi, giungono a Noto, spesso sono involontariamente portati a trascurare qualcosa di più antico e profondo, di intimamente connesso con le nostre origini: il paesaggio agrario. Che è parte essenziale della nostra identità. Archetipo da cui tutto si snoda, fondamento di una civiltà mediterranea della vite e dell’olivo che, da almeno duemilaecinquecento anni, caratterizza in gran parte il nostro territorio. Olio estratto dai frutti di quegli stessi ulivi che ai Greci portò in dono Atena. Vino che, già in epoca greco-romana, pur con caratteristiche assai diverse, era la bevanda dei simposi e delle libagioni agli dei. Già i Romani (Scramuzza 1937, 269 s.), dividendo in due la Sicilia, reputavano la parte centro-orientale la migliore, ovvero la più vocata, dal punto di vista vitivinicolo.

L’assemblea nazionale delle Città del Vino a Noto è una straordinaria occasione per presentare ad una molto qualificata rappresentanza nazionale questa insolita – ma tanto più vera – immagine di noi: una Noto agricola operosa e vitale, da cui tutto si origina e ancora si proietta nel futuro. Territorio vastissimo da capovalle, il Val di Noto comprende seminativi, carrubi, mandorli, la serricoltura delle primizie ortofrutticole ma, soprattutto, il cuore mediterraneo della vite e dell’ulivo.

Qui è nato il Nero d’Avola mentre il moscato, l’uva bianca da cui fin da epoche antichissime, si ricavano celebri vini dolci (ma anche secchi), si chiama, appunto, moscato di Noto. Al pari di tutta la Sicilia, il nostro territorio agrario ha alternato momenti di grandissima produttività e notorietà commerciale a fasi di crisi, poi superate grazie all’iniziativa di viticoltori tenaci e appassionati. Senza andare troppo indietro nel tempo, fino alla metà del Novecento, il nostro vino rosso veniva acquistato principalmente dai Francesi e dopo dai Piemontesi (e anche dai commercianti calabresi) per il taglio, allo scopo di rimpolpare prodotti continentali che non avevano goduto, come i nostri, dei privilegi di una terra baciata dal sole tutto l’anno.

Semplificando – e saltando alcune fasi critiche, in gran parte coincidenti con la scomparsa della Mezzadria e il conseguente radicale mutamento dell’agricoltura siciliana – molto si deve a personalità del mondo della cultura come Luigi Veronelli e Mario Soldati. Fu Soldati, grandissimo scrittore (a testimonianza del fatto che “il vino è cultura”) a scoprire, scrivendone e parlandone in TV, i “tesori del sud”, anche enogastronomici. E fu Veronelli a celebrare quel “nero d’Avola così denso e scuro che avrebbe potuto affettarsi con un coltello”. Decretando che, quando i siciliani avrebbero scoperto il freddo, ovvero portato in cantina le tecnologie indispensabili per la moderna enologia, si sarebbero fatti parecchio notare.

Così è stato e adesso che il vino siciliano e, in particolare, i nostri nero d’Avola e moscato sono venduti in tutto il mondo, il grande territorio di Noto è popolato da molte cantine. Alcune locali, che da tante generazioni fanno questo mestiere, adeguandosi ai cambiamenti e accettando la sfida di traghettare aziende di stampo ottocentesco verso la modernità. Altre più recenti, anche di giovani meritevoli che hanno trovato nell’agricoltura il lavoro e nel turismo la naturale evoluzione dell’agricoltura.

Altre, ancora, di storiche aziende continentali che hanno investito in Sicilia, segnatamente a Noto, credendo nel futuro di questa parte d’Italia, più a Sud dell’Africa, ma con radici culturali profondamente europee. Ben vengano tutte. Sia benvenuto l’apporto di nuova tecnologia, di tecnici qualificati, canali commerciali collaudati, affinché gli esempi virtuosi servano a tutti per migliorare. Perché, insieme, si riesca a conciliare tradizione e innovazione e a mantenere quel paesaggio agrario che ci identifica in un ideale di armonia e di bellezza. Che poi – e qui miro molto in alto, ma non si può far politica se non si mira in alto – è l’unico in grado di migliorare il mondo. Mantenendolo ancora come un posto in cui valga la pena di vivere per i nostri figli e per i nostri nipoti. Prosit!

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Nel PDF allegato il programma della Convention di Primavera