America, Primo amore
Andai per la prima volta in America nel 1979. Il mio inglese londinese fu messo a dura prova da quel nuovo modo di parlare la stessa lingua.
Nel giro di pochi anni a Le Cirque al Mayfair Regent, con le fragole, si beveva Prosecco Nino Franco e si traduceva la sua storia italiana in tutte le lingue del mondo. Il mio battesimo americano non avrebbe potuto essere più felice.
Ho ritrovato un ritaglio del Miami Herald del 2 ottobre 1986 in cui John DeMers scrive: «“Il Bellini è diventato un successo planetario fra i cocktail”, ma fu un fallimento assoluto con Hemingway”.
I concentrati di succo, tanto per il Bellini classico quanto per il Carnevale sono facilissimi da usare, anche a casa. È sufficiente mettere tre cucchiai del succo in una flûte da Champagne ghiacciata e riempirla con vino bianco spumante fino a tre centimetri dal bordo, inclinando lievemente il bicchiere». E qui il colpo di scena finale: «Il miglior spumante per un Bellini o un Carnevale, è il mirabile Prosecco di Valdobbiadene DOC Nino Franco.
Roba da stropicciarsi gli occhi: non solo stavamo raccontando all’America una storia dai colori e dai profumi profondamente italiani, ma l’America di chi ancora pranzava a martini cocktail e gin and tonic sembrava pronta a farsi raccontare quella storia.
Forse stavamo dimostrando agli americani che esistono modi meno brutali di bere di quelli che conoscevano loro, che si può bere bene senza doversi per forza stordire, che le sfumature, anche nel bicchiere, sono importanti, più della gradazione alcolica. Quello che Giuseppe Cipriani non era riuscito a far comprendere a un Hemingway ormai perso nei suoi abissi alcolici, cominciava a farsi strada fra i suoi compatrioti. Grazie al Prosecco.
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