La Valle d'Itria nuova destinazione enoturistica di qualità

12/06/2023

di PAOLO CORBINI

Della Puglia del vino oggi il grande pubblico conosce soprattutto il Salento, ma è anche nella Valle d’Itria che è stata scritta gran parte della storia enologica di questa regione. Un territorio famoso in tutto il mondo per il suo paesaggio, caratterizzato dal colore bianco delle case dagli strani tetti a forma conica, quei Trulli che hanno reso il paese di Alberobello patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco.

Se ne è parlato a Martina Franca, il 10 novembre scorso, durante un incontro che si è tenuto presso il Palazzo Ducale, sede del Municipio, in occasione della Convention delle Città del Vino, associazione di cui Martina Franca fa parte insieme al Comune di Locorotondo. Con la municipalità di Cisternino, i tre Comuni hanno dato vita al GAL Valle d’Itria che, cosa curiosa, riunisce i tre comuni che appartengono però a tre diverse province: Bari, Brindisi e Taranto. Scherzi, verrebbe da dire, di quel disegnatore di confini amministrativi che un tempo tenne conto non tanto delle esigenze dei territori e della loro omogeneità, quanto piuttosto di pesi e contrappesi politici del tempo, di chissà quali equilibri. Non è certo l’unico caso in Italia e la recente riforma sulle Province (che comunque ha suscitato polemiche e perplessità, non risolve la questione).

Ci ha pensato, però, il GAL a unire i tre territori, che vuol dire Gruppo di Azione Locale, un consorzio che ha riunito amministrazioni pubbliche e soggetti privati con l’obiettivo di gestire il Piano di Sviluppo Locale (PSL), un progetto territoriale del valore di oltre 11 milioni di euro destinato agli operatori del mondo rurale che intendono sviluppare le loro imprese. Ecco perché il GAL ha reso possibile la Convention delle Città del Vino, per incrementare le occasioni di promozione del territorio, in questo caso attraverso la cultura e l’economia del vino.

Panerai Replica Watches Cultura ed economia che qui hanno radici antiche, come ha testimoniato Pierfederico La Notte, del Centro ricerca, sperimentazione e formazione in agricoltura “Basile Caramia” di Locorotondo, intervenendo con una sua relazione sul tema “Vitigni autoctoni della Valle d’Itria: attualità e prospettive” al convegno di Palazzo Ducale.

Fin dalla seconda metà del Seicento la zona cdi Cisternino era conosciuta per  le sue uveche fan gustare vini eccellenti, Grechi, Moscatelli, Malvagie e altri” come scriveva l’Abate Pacichelli nel raccontare i suoi viaggi in Puglia tra il 1680 e il 1687. Nel settecento la Murgia dei Trulli contava oltre 3.000 ettari di vigneti; solo a Martina Franca, agli inizi del Novecento, gli ettari di vigneti erano 12.000. “Un mare di vigne che oggi non esiste più – ha commentato La Notte – e che caratterizzava il paesaggio della Valle d’Itria”.

I vitigni autoctoni conosciuti erano davvero tanti: i testi scientifici di fino Ottocento riportano, per le uve bianche, i nomi di Bianco d’Alessano, Verdura, Tamianello, Fiano, Malvasia bianca, Marchione, ragusano, Moscatello, Pagadebiti, Uva della scala, Bianco palmento… Per le uve rosse: Ritigliano, Notardomenico, Susumaniello, Negro amaro, Uva di Troia, Aleatico, Malvasia nera, Cuccipannello, Tostolo, Maricchione, Sangiovese, Malaga…

Tanta varietà ha dovuto fare i conti sia con la Fillossera, sia con il mutamento delle esigenze di consumo e di “affidabilità” dei vitigni, intesa come capacità di produzione e resistenza. E così negli anni Cinquanta del secolo scorso gli agricoltori scelsero di impiantare quasi esclusivamente Verdeca e Bianco d’Alessano, più o meno in parti uguali, perché più produttivi e resistenti, dando poi origine a quella che sarà la Doc Martina, famosa – appunto – per il suo vino bianco.

Ma prima di arrivare alla Doc, di strada il vino bianco di Martina Franca ne ha fatta, soprattutto in direzione nord, verso il Piemonte, dove il vino da uva Verdeca era per lo più utilizzato per la produzione di vermouth (considerato il più adatto come base di lavorazione per ottenere la famosa bevanda); le grandi case come Bosca, Carpano, Cinzano, Martini & Rossi, Gancia, Cora, erano alcuni tra i maggiori “consumatori” di vino della Valle d’Itria. Il commercio si sviluppò negli anni Venti del secolo scorso ed è continuato fino a poco tempo fa. Ma finalmente nel 1969 Martina Franca e Locorotondo ottengono la Doc e qui inizia la nuova storia del vino della Valle d’Itria, che si conferma con la Doc Ostuni che giunge nel 1972. L’imbottigliamento in loco consente un evidente salto di qualità sia per il prodotto sia per la consapevolezza dei produttori locali e degli agricoltori che iniziano ad avere un approccio nuovo con la vigna e con il vino.

Se la Valle d’Itria nel 1929 contava quasi 19.000 ettari di vigneti, nel 2005 era scesa a poco più di 2.500 nel 2005.

“La cause della crisi sono molteplici – come ricorda ancora Pierfederico La Notte – e comuni anche ad altre zone d’Italia: aziende vitivinicole di piccole dimensioni con una proprietà molto frammentata; mancato ricambio generazionale con conseguente abbandono dei vigneti; vendita dei diritto d’impianto fuori regione, erosione ampelografica e minore biodiversità, una generalizzata crisi del mercato dei vini bianchi, considerati dai consumatori meno… importanti”. Nel 1977 risultano iscritti alla Doc Martina 3.680 ettari e alla Doc Locorotondo 1.288 ha, di cui solo un quinto risulta vino imbottigliato; nel 2007 Martina detiene 212 ha e Locorotondo 348. Ostuni solo 2 ettari.

Sono numeri che devono far riflettere. Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, di discute se non sia il caso di mettere assieme quelle “vecchie” Denominazioni e di arrivare, anche sulla spinta del GAL, al riconoscimento di una Doc (anzi Dop, viste le piùrecenti normative europee) della Valle d’Itria che riunisca sotto un unico “brand” i vini del territorio consentendo anche una più efficace promozione, magari mantenendo le identità precedenti con l’uso delle sottozone.

“Credo che la prospettiva di una nuova denominazione per il comprensorio dei Trulli sia la strada da percorrere – afferma La Notte – perché può consentire maggiore rispondenza alle richieste del mercato, la differenziazione dell’offerta attraverso una gamma completa di prodotti, dai vini passiti agli spumanti; una maggiore notorietà e capacità di promozione dei vini e del territorio, economie di scala a vantaggio delle imprese”.

Saranno i produttori a decidere, ma sarebbe importante che lo facessero presto, magari costituendo anche un consorzio che dia loro più forza e consapevolezza: la qualità c’è, il territorio pure e i vitigni anche; non solo i “soliti” vitigni internazionali o quelli “italiani” comunque già noti ed apprezzati. “Oggi la Puglia, e la Valle d’Itria in particolare, può vantare una diversità ampelografica straordinaria – afferma ancora Pierfederico La Notte – e la ricerca finalmente sta producendo i suoi risultati molto interessanti. Mi riferisco, in particolare, ad alcuni vitigni poco coltivati o considerati minori, ma che invece stanno palesando evidenti qualità, come il Minutolo o il Marchione e il Maruggio, come testimonia il successo di alcune aziende che ne hanno proposto vinificazioni in purezza. Non solo, ma vi sono ancora vitigni non iscritti al Registro nazionale delle varietà che devono essere caratterizzati, e sono convinto che le sorprese non mancheranno se la ricerca potrà continuare”.

Questo straordinario patrimonio di varietà e di biodiversità ben si accosta al sempre più crescente fenomeno del turismo enogastronomico

Questo vitigno autoctono, insieme agli altri suoi compagni di territorio, può rappresentare una calamita, un’attrazione enoturistica su cui giocare progettualità e comunicazione che coinvolga imprese vitivinicole, operatori turistici e strutture di accoglienza, ristorazione, valorizzando la filiera e l’agricoltura nel suo insieme.

“Questo vitigno – afferma La Notte – ha dato ampie prove di affidabilità anche nell’appassimento per la produzione di vini passiti e per la produzione anche di spumanti, sia dolci sia secchi. Dalla sperimentazione è stato possibile passare alla produzione con oltre 25 etichette oggi prodotte e con grande apprezzamento, soprattutto all’estero. Non meno importante il prezzo delle uve: il Minutolo è riuscito a strappare negli ultimi tre anni un prezzo intorno ai 60 euro al quintale, contro i 20/25 euro al quintale che in media valgono le altre uve bianche in Valle d’Itria”.

Molto interessanti anche le sperimentazioni avviate fin dal 2006 sia per l’appassimento sia per la spumantizzazione per altri vitigni quali Verdesca, Bianco d’Alessano, Aleatico, Moscato giallo, Moscatello selvatico, Bombino bianco, Francavidda, Ottavianello, Somarello rosso, Marchione e Marescouggio, oltre ai più noti Negro amaro e Primitivo.

“Per ottenere questo risultati – ricorda La Notte – occorre fare molta ricerca. La tuterla della biodiversità e delle risorse genetiche d’interesse agrario in Puglia sono affidate anche a progetti realizzati grazie al PSR regionale 2007/2013 che ha consentito per la viticoltura di individuare e recuperare, anche con tanto di georeferenziazione, oltre 704 presunti nuovi vitigni tutt’ora in corso di verifica. Questo per dire che c’è ancora un mondo da esplorare e che la ricerca non può, non deve fermarsi. Altrimenti come avremo mai potuto godere di un buon bicchiere di Minautolo?”