Il cambiamento climatico cambierà anche il vino?

18/01/2018

Un recente studio dell’Università di Harvard pubblicato sulla rivista Nature Climate Change – “From Pinot to Xinomavro in the world’s future wine-growing regions” – evidenzia come gli impatti previsti dei cambiamenti climatici sulle colture, compresi i cali di rendimento e la perdita dei terreni di conservazione, potrebbero essere mitigati sfruttando la diversità esistente all’interno delle colture.

Il team di ricerca, coordinato dalla Professoressa Elizabeth Wolkovich, ha esaminato in particolare lo scenario viticolo mondiale, che viene analizzato con una forte preoccupazione e rivalutando quella biodiversità che una parte dell’industria vitivinicola aveva negli ultimi anni posto in secondo piano puntando maggiormente sulla semplificazione e sulla standardizzazione.

Su 1.100 varietà coltivate, le viti possiedono una incredibile diversità di tratti che influenzano le risposte al clima, come la fenologia e la tolleranza alla siccità. Eppure poco di questa diversità è sfruttata. Molti paesi coltivano infatti il 70-90% del totale degli ettari con le stesse 12 varietà, pari all’1% della diversità totale. Il lavoro evidenzia, invece, come pratiche di semina alternative e nuove iniziative potrebbero aiutare il settore ad adattarsi meglio ai continui cambiamenti climatici.

Un esempio: il riscaldamento globale potrebbe far sì che nei prossimi decenni l’Europa meridionale diventi troppo calda per produrre vino di qualità, ma anziché spostare le vigne al Nord – rinunciando a caratteristiche essenziali come il terreno, il fotoperiodo e l’esperienza dei vignaioli  – le varietà adatte a luoghi freschi perché maturano velocemente, come per esempio il Pinot Nero e lo Chardonnay, potrebbero essere sostituite da vitigni come il greco Xinomavro o lo spagnolo Monastrell, vitigni che hanno bisogno di estati lunghe e calde per maturare lentamente. 

E’ importante anche ricordare che secondo importanti studiosi del panorama vitivinicolo italiano i vitigni autoctoni, soprattutto quelli cresciuti in zone vocate, sanno adattarsi meglio ai cambiamenti: essendo il frutto di un ciclo di selezione di alcune migliaia di anni, attraversano fasi climatiche estreme e per questo hanno accumulato nel loro DNA, per effetto di incroci spontanei e mutazioni, dei tratti genetici che consentono loro di superare condizioni davvero difficili. (di Alessandra Calzecchi Onesti)

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