L’Associazione dà il benvenuto al Comune di San Martino in Pensilis (CB), borgo di origine medievale situato su una collina alla destra della valle del fiume Biferno, sulla destra del torrente Cigno, ai confini con la Puglia.
Secondo il vescovo ed erudito settecentesco Giovanni Andrea Tria, il toponimo di “San Martino” deriverebbe da una chiesa situata sul colle e dedicata al santo vescovo Martino di Tours. La posizione sopra una collina, con due ripidi pendii a sud e ad ovest, avrebbe invece dato origine all’aggiunta “in Pensili”: entro le mura del paese vecchio (“Mezzaterra”) esisteva la chiesa di “Santa Maria in Pensili” e in alcune fonti medievali il colle era citato anche come in Pisili, in Pesule, in Pesile o in Pensulis; per distinguere il comune di San Martino dai numerosi omonimi del Regno d’Italia, nel 1863, si aggiunse al nome la forma erronea latineggiante in Pensilis (fonte: wikipedia.org).
La nascita come entità demografica di San Martino risale all’anno 1100, ma si presume che un villaggio con una chiesa in onore a San Martino esistesse già 500 anni prima, formato dai Cliterniani rifugiatisi sulla collina per sfuggire agli attacchi barbarici. Da allora due elementi sono rimasti immutati nello scorrere del tempo: il colle dal nome “Pensilis” e il nome derivato da San Martino, vescovo di Tours. Il dominio sul territorio di San Martino è legato alla più generale storia del susseguirsi delle conquiste nel Mezzogiorno d’Italia. Durante l’epoca Normanna si ha l’incastellamento delle popolazioni rurali del colle di San Martino che entra a far parte della Contea di Loritello. Dal Conte omonimo fu poi donato alla Badia di Montecassino e nel 1182 diventa parte del Ducato di Benevento. Nell’epoca Sveva (1194-1226), Signori di San Martino furono i Conti di Montagano. In epoca Angioina non conosciamo il nome del feudatario di San Martino. Negli anni della lotta per il trono di Napoli, tra Ladislao e Luigi d’Angiò, la regina Margherita, madre di Ladislao e signora di San Martino, vendette il feudo a Ugolino degli Orsini, che però lo tenne poco tempo. Infatti San Martino divenne un possesso della regina Giovanna di Durazzo, fino al 1433. Dal 1434 ebbe le medesime vicende feudali della vicina Guglionesi. Nel 1495 il duca di Termoli, Andrea di Capua, ottenne San Martino in feudo. La famiglia Di Capua, non lasciando eredi diretti, determinò che i territori passassero a Giulia Pignatelli, moglie di Domenico Cattaneo, principe di Sannicandro. Nel 1811 insieme ad altri paesi della Capitanata (Ururi, Portocannone, Campomarino e Termoli) entra a far parte del Contado di Molise. Con la fine della Rivoluzione francese seguì le sorti del Regno di Napoli, facendo parte della Terra del Lavoro, fino all’unità d’Italia, dopo la quale il Molise e San Martino entrarono a far parte degli Abruzzi.
Documenti del XII secolo attestano la formazione del cento storico, basato sul rapporto tipico del Medioevo: chiesa, castello e borgo. Nelle piccole costruzioni, contigue, costruite intorno a strade anguste del paese vecchio, chiamato tuttora “Mezzaterr”, si svolgeva la vita quotidiana delle famiglie sammartinesi. Le costruzioni sono attaccate l’una all’altra e si affacciano su strade molto strette. Le case sono prevalentemente formate da una sola stanza, qualcuna al di sotto del livello stradale. In ambienti così angusti, privi della necessaria aerazione per la scarsezza di finestre e balconi, con scarse condizioni igieniche, gli abitanti trascorrevano la maggior parte della giornata nei campi a lavorare. L’acqua si trovava in pozzi alle periferie del borgo e gli acquaioli la vendevano alle famiglie che la conservano nelle sarole (anfore). Non esistevano, ovviamente, fogne e le feci venivano raccolte la mattina prestissimo da un carrobotte che girava per le strade. Solo qualche rappresentante della nobiltà o di ricche famiglie borghesi viveva in abitazioni più ampie e, a volte, in veri e propri palazzi. Lo sviluppo all’esterno delle mura del paese vecchio, “Fora Porta”, iniziò nella seconda metà del 1800 e proseguì fino a tutti gli anni Cinquanta del secolo scorso, formando rapidamente vari quartieri. Il “Muraglione”, l’antico colle San Nicola, costituisce una delle parti più caratteristiche di San Martino, dove i cittadini vanno a fare lunghe passeggiate in modo particolare durante l’estate. Intorno agli anni ‘50 San Martino era tra i paesi più fiorenti della zona, superando i 6.000 abitanti. Negli anni ‘60 iniziò un cambiamento radicale sul tenore di vita dei sammartinesi grazie anche all’uso dell’energia elettrica e all’impianto idrico e fognario, ma nel ’70 la popolazione di San Martino subì un calo a causa dell’emigrazione e dell’industria che portò via i braccianti dai campi per farli diventare operai in fabbrica. L’artigianato non è però del tutto scomparso e si distingue per la lavorazione del cuoio finalizzata al settore dell’arredamento. Nella campagna collinare circostante si coltivano grano, barbabietole, girasoli e sono presenti anche vigneti ma soprattutto ulivi. Del terreno boschivo restano attualmente alcune macchie, del “bosco di Ramitelli”, che si estendeva lungo tutto il corso del Saccione, dal mare fino a Rotello, una zona conosciuta anche come la bufalara.
Tanti i monumenti (le Chiese, il Palazzo del conte o Palazzo baronale, i luoghi d’interesse (la villa rustica risalente all’epoca romana, il Muraglione) e le manifestazioni che meritano una visita. Tra queste ultime ricordiamo:
La FESTA DI SAN BIAGIO, il 3 febbraio: La giornata ha inizio con uno scalpitio di cavalli ed il suono del tamburo. Tre cavalieri chiamano a raccolta per le strade del paese tutti gli altri cavalieri e cittadini per la visita alla quercia e alla pietra del Santo. Dopo essersi riuniti ed aver preso una croce dalla Chiesa madre, si avviano verso il luogo secolare, a circa 7 km dal centro abitato, dove un tempo esisteva anche una chiesetta in onore di San Biagio. Dopo aver pregato e aver fatto tre giri attorno al luogo ove sorgeva la quercia e la pietra del Santo, ripartono per il paese, lentamente in processione. Fanno un giro attorno alla santissima trinità recitando litanie e preghiere. Al pomeriggio c’è la Messa con la benedizione delle gole e la processione.
La FESTA DI SAN GIUSEPPE, il 19 marzo: è una ricorrenza particolarmente sentita dai sammartinesi. Alcune famiglie allestiscono nelle proprie case dei particolari, con statue di Santi benedetti dal Sacerdote alla vigilia. La stessa sera questi altari vengono visitati dalla popolazione e dai fedeli. Si prega e si distribuiscono “screppelle”. Si veglia e si cuociono le pietanze per il giorno seguente (le tredici minestre di San Giuseppe). Alcune sono legumi (fave, ceci e fagioli) e altre sono il baccalà, i funghi, gli asparagi, il pesce, il riso, le lumache, le rape, le “fellate” d’arancio e maccheroni con la mollica fritta, i quali vengono distribuiti ad amici e a chiunque si presenti all’altare. A mezzogiorno arrivano il vecchio, la vecchia e il bambino (la Sacra Famiglia), che pregano ed omaggiano le pietanze. Consumano il pranzo della Sacra Famiglia che viene servito da donne scalze. Verso le 16.00 si svolge, al suono della banda musicale, la processione per le strade del paese. Alla sera si ritorna agli altari dove vengono approntati i fuochi di San Giuseppe con fascine di ulivo.
La CARRESE, il 30 aprile:La Corsa dei carri di San Martino in Pensilis è tra le manifestazioni più amate e seguite di tutto il Molise. Definita da un poeta sammartinese “arcaica preghiera collettiva in onore di San Leo”, trae infatti origine proprio dal ritrovamento delle Relique del Santo e vede come protagonisti i cavalieri, i buoi, i carri e i tre partiti contrassegnati dai rispettivi colori: il bianco-celeste per i Giovani, il giallo-rosso per i Giovanotti e il giallo verde per i Giovanissimi. La Corsa si svolge su un percorso lungo 9 km e prende avvio dal Tratturo; alla partenza il primo posto viene lasciato al carro vincitore dell’anno precedente. La gara termina davanti alla Chiesa e il carro vincitore ha l’onore di trasportare in processione il busto di S. Leo il successivo 2 maggio.
La FESTA DI SAN LEO, il 2 maggio: Il Santo nacque nel villaggio fortificato di Cliterniano intorno all’anno Mille da nobile famiglia. Fu educato secondo principi cristiani indirizzati all’amore verso il prossimo e verso Dio. Si fece monaco dell’ordine di San Benedetto ed entrò nel convento di San Felice non molto distante dal luogo ove era nato. Nel convento predicò il Vangelo e fece esercizio di virtù applicando la regola “ora et labora”. Noto per i molteplici miracoli, le popolazioni della zona del Cliterniano ed il Vescovo di Larino del tempo, lo proclamarono “Santo” subito dopo la sua morte. Morì un 2 Maggio di qualche anno dopo il Mille e fu sepolto sotto l’altare della Chiesa del convento di San Felice. Il corpo del Santo stette più di un secolo sepolto sotto l’altare e un giorno tra l’anno 1154 e l’anno 1182, a seguito di una battuta di caccia del Conte di Rotello (Roberto di Bassavilla) e di altri nobili della zona, il Corpo del Santo fu ritrovato e portato in “processione” su un carro trainato da buoi, nella Chiesa di Santa Maria in Pensili di San Martino. Nel 1728 essendo la Chiesa di Santa Maria pericolante, le ossa di San Leo furono portate nella vicina Chiesa di San Pietro Apostolo, dove vi è rimasto fino ai nostri giorni. La memoria del Santo era diffusa e forte nella tradizione dei sammartinesi. Presto perciò, questi sentirono il bisogno di adorarlo con pellegrinaggi nei luoghi ove era vissuto ed ove erano state ritrovate le Sue Reliquie. Uomini, donne, bambini, anziani, cantando e pregando, si portavano per ogni strada dove un tempo sorgeva il convento di San Felice. Al ritorno da tali visite che avvenivano in primavera, di tanto in tanto si pungolavano i buoi e si accendevano gare di velocità.