Auguri all’Orvieto Doc

15/03/2021

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1971 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

ORVIETO

Disciplinare: DPR 07.08.1971 (G.U. 219 – 31.08.1971)

Regione: Umbria, Lazio

Provincia: Terni, Viterbo

Enoregione/i: ETRURIA VITERBESE, ORVIETANO E COLLI AMERINI

Città del Vino: Comune di Castiglione in Teverina, Comune di Orvieto, Comune di Ficulle, Comune di Castel Viscardo

Tipologie: Orvieto, Orvieto Classico, Orvieto Muffa Nobile, Orvieto Vendemmia Tardiva.

Vitigni: Trebbiano Toscano (Procanico) e Grechetto minimo 60%; possono concorrere altri vitigni di colore analogo idonei alla coltivazione per la Regione Umbria e per la Provincia di Viterbo fino a massimo 40%.

Cenni storici e/o geografici: La zona geografica è situata nell’ambiente collinare a sud ovest dell’Umbria, fino all’alto Lazio, in un territorio interessato da affioramenti di diverse formazioni geologiche (argille, colate laviche, depositi alluvionali, sabbie e conglomerati, …) alle quali i vitigni Grechetto e Trebbiano Toscano hanno dimostrato buona adattabilità. Qui tutto profuma di uva e di vino perché la coltivazione della vite ne ha da sempre caratterizzato il paesaggio e l’economia: vigneti curati si dispongono intorno alla rupe in un disegno armonico dove le linee parallele dei filari si intersecano con quelle ondulate delle colline. Per la città, dunque, il vino è un’importante risorsa, una peculiarità distintiva che si protrae ininterrottamente nei secoli e a testimoniarlo sono l’archeologia, l’arte, la storia, l’artigianato e la letteratura, tanto che la produzione dell’Orvieto di qualità è stata apprezzata e celebrata nel tempo da poeti, papi, artisti e viaggiatori. Ma prima ancora delle parole, il ruolo fondamentale del vino nella vita quotidiana e nei riti culturali di Orvieto è attestato negli importanti dipinti delle tombe etrusche del territorio (seconda metà del IV sec. a.C.) e nella ricca varietà di ceramiche etrusche e greche destinate alla conservazione, alla mescita e alla degustazione della celebre bevanda. L’avvio dello stretto binomio “coltivazione della vite-produzione di vino” pare risalire al X sec. a.C., quando gli Etruschi conquistarono la scoscesa rupe e fondarono l’antica Velzna. Si ritiene, infatti, che proprio questa civiltà abbia intuito che la particolare costituzione del masso tufaceo era favorevole alla lavorazione ed alla conservazione del vino, dando vita ad un primordiale sistema di vinificazione chiamato “a tre piani”. Nelle cantine l’uva si pigiava a livello del suolo ed il mosto e attraverso apposite tubature di coccio colava nei locali sottostanti in cui fermentava. Dopo la svinatura, il vino si trasferiva a un livello ancora più profondo, adatto per la maturazione ed il lungo affinamento.

Abbinamenti: Il tipo Secco è un buon aperitivo e bene accompagna minestre di verdure senza pomodoro, primi piatti asciutti anche a base di pesce, secondi piatti di pesce bollito o arrosto e carni bianche, verdure bollite o in padella. I tipi Abboccato e Amabile sono consigliati con piatti a base di fegato, formaggi saporiti e leggermente piccanti, macedonie di frutta. Vendemmie tardive e Muffe nobili sono vini da meditazione o da abbinare a fois gras, formaggi fermentati o di capra, biscotteria secca con nocciole o mandorle, dolci delicati senza crema, cioccolata o panna.

 

Prodotto: PANPEPATO (O PANPAPATO) (PAT)

Descrizione: Specialità natalizia derivata dai medioevali “panes melati ac pepati”. L’impasto è a base di miele (in passato si usava il mosto cotto, ottenuto facendo bollire per due o tre ore il mosto del vino fino a raggiungere una consistenza simile a quella del miele ma meno dolce), cioccolato fondente grattugiato, olio, pepe, noce moscata, buccia grattugiata delle arance, frutta secca mista (noci, nocciole, mandorle) grossolanamente tritata, canditi e farina. I panetti che se ne ricavano riposano tutta la notte prima di cuocere in forno (80° C) per circa tre ore. Fatti raffreddare, si servono a fettine. Un’altra versione (i pepetti al miele) prevede che l’impasto, aromatizzato da una quantità di pepe sufficiente perché se ne senta bene l’aroma nel dolce finito e arricchito da mandorle e nocciole intere, venga modellato in filoncini e che questi, una volta cotti al forno, siano tagliati a tozzetti.

 

Piatto: POLENTA DI ROVEJA

Descrizione: Protagonista in passato dell’alimentazione dei pastori che abitavano la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui Monti Sibillini, la roveja (o rubiglio o corbello) (Pisum sativum arvense L.) è un piccolo legume simile al pisello, che cresce anche in forma spontanea lungo le scarpate e nei prati ed è particolarmente resistente in presenza di basse temperature e scarsità d’acqua. Oggi che è stato pressoché abbandonato, con il Presidio Slow Food si è voluto tutelare quello coltivato in una località della Valnerina (Civita di Cascia, in provincia di Perugia), per diffonderne la conoscenza e incrementarne la produzione attualmente limitata a ridottissime quantità destinate al consumo personale di pochi coltivatori. Il seme della roveja, che va dal verde al marrone scuro, ricorda il sapore delle fave e dei ceci e si può consumare sia fresco che essiccato, come ingrediente di zuppe e minestre, da solo o con la pasta. Macinato a pietra, si trasforma in una farina dal lieve retrogusto amarognolo che serve per fare la farecchiata o pesata, antica polenta conosciuta anche nell’area marchigiana e tradizionalmente insaporita con un soffritto di acciughe dissalate, aglio e olio extravergine di oliva, buona anche il giorno successivo, affettata e abbrustolita in padella. In alternativa è condita con cipolle appassite nel lardo, pecorino grattugiato e un filo d’olio.