Auguri alla Vernaccia di Serrapetrona Docg

14/05/2021

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1971 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

VERNACCIA DI SERRAPETRONA

Disciplinare: già DOC con DPR 22.07.1971 (G.U. 222 – 03.09.1971), poi DOCG con DM 18.08.2004 (G.U. 205 – 01.09.2004)

Regione: Marche

Provincia: Macerata

Città del Vino: Comune di Serrapetrona

Enoregione: COLLINE CENTRALI

Tipologie: Vernaccia di Serrapetrona (due versioni secco e dolce)

Vitigni: Vernaccia nera per almeno l’85%; possono concorrere alla produzione di detto vino anche uve provenienti da vitigni a bacca rossa, idonei alla coltivazione nella Regione Marche, da soli o congiuntamente, in misura non superiore al 15% del totale.

Cenni storici e/o geografici: La Vernaccia di Serrapetrona è una perla dell’enologia marchigiana tanto rara (dato che se ne producono quantitativi limitatissimi) quanto antica. Si racconta che già nel Medioevo un soldato polacco, al seguito di truppe mercenarie, fosse rimasto così affascinato dal vino di Borgianastri, piccolo paese vicino a Serrapetrona, da coniare un detto sulla fortuna di questi luoghi che ancora è rimasto nel dialetto locale. Diverse sono le storie sull’origine del nome Serrapetrona, forse derivato da Petronius, nobile esule romano stabilitosi in queste terre, oppure più semplicemente desunto dalle molte pietre che si trovano nei dintorni della città. L’area geografica delimitata per la denominazione è un’area ristretta, a circa 60 km dal mare Adriatico, per metà classificabile come Ambiente Omogeneo di Montagna e per l’altra metà come Ambiente Omogeneo di Alta Collina. Il poter disporre di un vitigno autoctono di pregio (la Vernaccia nera) e la secolare procedura di vinificazione, frutto di una vendemmia particolare dove metà dell’uva viene messa ad essiccare su graticci prima di essere spremuta e della frammentazione del processo produttivo in ben tre fermentazioni del prodotto, danno allo stesso la sua singolarità come lo è il territorio ove si produce. Nonostante l’eccellenza di questo spumante rosso naturale, la produzione è rimasta molto limitata anche dopo il riconoscimento della Doc nel 1971 (poche decine di ettari) e della DOCG nel 2004.

Abbinamenti: La versione secca è vino da fuori pasto o da meditazione, che può bene accompagnare anche arrosti di carni. La versione amabile è consigliata con dessert e pasticceria.

 

Prodotto: LONZA (O LONZINO O LONZETTA O SALAME) DI FICHI (PAT E PRESIDIO SLOW FOOD)

Descrizione: Questo prodotto risale addirittura al I secolo d.C. quando Columella, nel suo De re rustica, parla di fichi seccati al sole poi pestati con i piedi dentro vasche di terracotta o di pietra. Oggi i fichi, Dottati o Brogiotti essiccati e conditi con sapa o mistrà (liquore all’anice) vengono macinati e impastati con mandorle e noci (triturate a parte) e semi di anice, tipico aroma dei Monti Sibillini. Il tutto è pressato in forma cilindrica, avvolto in foglie di fico e legato con filo di spago o di lana, così quando è pronto e ben asciutto ha l’aspetto di un salamino lungo 20 centimetri circa e di colore brunastro-aranciato. Si prepara a ottobre e mantiene la sua fragranza fino a primavera, ma di solito si porta in tavola a Natale ed è difficile che se ne trovi ancora dopo le feste per la modesta quantità prodotta. Da provare con la sapa o con un pecorino stagionato, per esempio quello di fossa. Esiste anche il torrone di fichi, dolce tipico di un piccolo centro della vallata del Tronto, Monsampolo. Morbido e friabile, è un panetto di fichi secchi, farcito con cedro candito e mandorle e pressato in una piccola forma rettangolare in legno detta «coscena». Nome e aspetto variano secondo la forma con cui viene realizzato (salame, cuore, bacio della Vergine…) e il ripieno può essere arricchito a piacere con cacao, menta, cannella, vaniglia, arancia candita.

 

 

Piatto: CALCIONE DI TREIA (PAT)

Descrizione: Tipicodolce del periodo pasquale e di altre feste popolari, i caciuni o calcioni (caciù ad Ascoli Piceno, cacioni ad Ancona, pecù a Macerata), ovvero “calzoni” – a indicare una radice comune di molte paste ripiene, dolci e salate, della cucina del Centro e del Meridione d’Italia – esistono in numerose versioni nelle Marche e nelle regioni confinanti. In questa ricetta del Maceratese la pasta – preparata con farina, acqua e olio, tirata a sfoglia e ritagliata a dischetti – è farcita con un composto di formaggio pecorino stagionato e fresco, zucchero, scorzetta di limone grattugiata e tuorli d’uovo (a volte anche un pizzico di cannella e una goccia di rosolio o mistrà). Poi viene ripiegata a forma di raviolo, incisa al centro e cotta in forno. Il formaggio che ne esce, quando il calore del forno fa rigonfiare il ripieno, produce una caratteristica crosticina dal sapore dolce-salato simile a un’infiorescenza. C’è anche la versione salata, con un ripieno di pecorino e parmigiano, di pecorino e ricotta o di crema di fave lessate in acqua aromatizzata con l’alloro.