Auguri alla DOC Valdichiana Toscana

26/07/2022

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1972 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

VALDICHIANA TOSCANA

Disciplinare: DPR 01.09.1972 (G.U. 310 – 29.11.1972)

Regione: Toscana

Provincia/e: Perugia

Enoregione/i:  COLLINE ARETINI E VALDICHIANA

Città del Vino:   Comune di Montepulciano Comune di Chiusi

Tipologie: Bianco o Bianco Vergine (anche Frizzante e Spumante), Chardonnay, Grechetto, Rosso, Rosato, Sangiovese, Vin Santo, Vin Santo Riserva

Vitigni: Trebbiano toscano, Chardonnay, Pinot bianco, Grechetto, Pinot grigio, Sangiovese, Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Merlot, Sirah, Malvasia Bianca di Candia, Malvasia Bianca lunga, Malvasia istriana

Cenni storici e/o geografici: La secolare storia del vino Valdichiana toscana dall’epoca etrusca ai giorni nostri è attestata da numerosi documenti bibliografici e reperti archeologici risalenti alla civiltà etrusca. Tra questi ricordiamo il ritrovamento di piani monolitici con scanalature, utilizzati per spremere l’uva mediante il calpestio, che testimonia l’accuratezza delle tecniche enologiche impiegate. Tutto ciò è alla base del fattore umano di esperienze e cultura che nel tempo, in interazione con l’ambiente, ha portato a individuare e sviluppare le pratiche più consone per la produzione enologica di qualità, sia per ottenere vini dal lungo invecchiamento, sia per la produzione di vini più giovani e fruttati. Al tempo degli Etruschi questa zona era chiamata il “granaio dell’Etruria”, ma le sue colline erano già punteggiate di vigneti. Più tardi Plinio il Vecchio, descriverà la bontà di questi vini: il Talpone (rosso) e l’Ethesiaca (bianco). Una viticoltura che gravitava intorno agli importanti centri di Cortona, Montepulciano e Arezzo e che veniva praticata sulle colline della Valdichiana toscana. L’importanza della vite in questi territori nel tardo e nel basso medioevo si desume anche dalle numerose disposizioni a protezione delle vigne contenute nello Statuto del Comune di Arezzo del 1327, le quali tra l’altro proibivano la caccia all’interno dei vigneti ed imponevano di tenere i cani legati durante la maturazione dell’uva.  Nel ‘400 i vini locali, bianchi e rossi, vengono citati come pregevoli dal novellista lucchese Sercambi, mentre nel XVI secolo arriva una importante testimonianza da parte di Sante Lancerio, appassionato di vini e bottigliere del Papa Paolo III°: in un documento conservato nella biblioteca civica di Ferrara, assieme ad altri vini viene descritto il Bianco della Valdichiana (toscana) tra i più graditi al Pontefice stesso. Ampio spazio alla viticoltura locale è stato dedicato dall’aretino Francesco Redi, nel celebre ditirambo "Bacco in Toscana". Dopo un periodo di anonimato, dovuto anche all’impaludamento della valle, con il successivo risanamento Lorenese si torna a parlare di vino della Valdichiana (toscana), anche se il rilancio della viticoltura si può fare risalire alla fine dell’800, quando i francesi della Borgogna e della Champagne, a causa dell’invasione fillosserica verificatasi in quei comprensori, arrivarono fino a questa zona per acquistare il vino bianco per la spumantizzazione. Alla fine del XIX secolo è sentita l’esigenza di istruire le maestranze per la gestione dei vigneti e delle cantine: nel 1882 viene istituita una Scuola pratica di Agricoltura e tuttora nel Comune di Cortona è attivo un rinomato Istituto Tecnico Agrario. In quest’epoca iniziò ad affermarsi anche il concetto di superiorità tecnico-economica della coltura specializzata rispetto a quella promiscua, la cui diffusione era stata favorita dall’avvento della conduzione mezzadrile. La riscoperta definitiva dei vini locali avviene ai primi del ‘900 quando vengono definite le caratteristiche chimiche ed organolettiche del Bianco Vergine. Una autorevole citazione si trova nel manuale del De Astis che nel 1935 cita questo vino come molto richiesto, anche per la preparazione di vermouth e spumanti. Per iniziativa di alcuni produttori, il 9 dicembre 1965 fu costituito il Consorzio con lo scopo di tutelare e promuovere l’immagine dei vini della Valdichiana toscana. La Valdichiana è infatti un’area geografica a cavallo di due Regioni, la Toscana, con le province di Arezzo e Siena, e l’Umbria con le province di Perugia e Terni; da un punto di vista orografico la Valdichiana è compresa, fra le conche intermontane appenniniche situate “tra le due dorsali Monte Acuto – Monte Morello –Monte Giovi- Pratomagno – Alpe di Poti –Alta S. Egidio e Monte Albano – Monti del Chianti”. Appartiene alla conca chianina anche il bacino del Trasimeno, che raggiunge in questa porzione la sua larghezza massima, circa 40 chilometri. Il limite meridionale della Valdichiana arriva fino ad Orvieto. Con il termine “Valdichiana” si intende pertanto da un punto di vista geografico una zona ben più ampia della zona di produzione della DOC Valdichiana, che è compresa nei soli comuni toscani. L’aggiunta al nome Valdichiana dell’aggettivo “toscana” consente senza equivoci, l’esatta percezione da parte dei consumatori che i vini prodotti e tutelati dalla DOC Valdichiana provengono da quella parte di Valdichiana situata geograficamente nella regione Toscana, consentendo quindi, sul piano dell’immagine e della promozione di rafforzare il legame, forte, vitale, unico ed essenziale, con il suo territorio naturale.

 

Prodotto: PORCHETTA DI MONTE SAN SAVINO (PAT)

Descrizione: La preparazione della porchetta – comune a Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo – è una tradizione che risale agli etruschi e all’antica Roma. La porchetta savinese ha un gusto diverso dalle altre, prima di tutto per l’uso di maiali che, pur non essendo più tutti allevati allo stato brado nei boschi di querce della zona, vengono da allevamenti toscani o umbri che usano mangimi naturali; in secondo luogo, per l’aromatizzazione con rami e cime fiorite di finocchio selvatico, aglio e pepe nero. La cottura, molto lenta, è rigorosamente nel forno a legna. L’ideale è consumarla a poche ore dalla sfornatura, ancora in fase di raffreddamento, quando la carne rosata è morbida e saporita e la crosta croccante.

 

Piatto: CASTAGNACCIO TOSCANO (O MIGLIACCIO) (PAT)  

Descrizione: Già apprezzato nel Cinquecento, quando si dice fu creato dal toscano Pilade de Lucca, è solo a partire dall’Ottocento che questo dolce a base di farina di castagne, acqua e un pizzico di sale è arricchito da altri ingredienti diversi da zona a zona: pinoli, uvetta, gherigli di noci triturati, scorza di arancia a pezzi e, nel Lucchese, anche qualche rametto di rosmarino. Pure il nome cambia: baldino nell’Aretino, toppone o pattona nel Livornese, ghiriglio in alcune zone della campagna fiorentina, ghirighio nel Pratese. L’impasto, ben liscio e non troppo denso, va infornato a 200° C finché non si rapprende poi lasciato raffreddare. Lo spessore finale è contenuto, la consistenza compatta ma morbida.