Auguri al Taurasi

26/03/2020

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di  città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche,  vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1970 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

TAURASI

Disciplinare: già DOC con D.P.R. 26.03.1970 (G.U. 129 – 25.05.1970), poi DOCG con D.M. 11.03.1993 (G.U. 72 – 27.03.1993)

Regione: Campania

Provincia/e: Avellino

Città del Vino: Comune di Taurasi, Comune di Venticano, Comune di Montefalcione, Comune di Lapio

Enoregione/i:IRPINIA

Tipologie: Taurasi Rosso, Taurasi Rosso Riserva

Vitigni: Aglianico: minimo 85-100%; possono concorre altri vitigni a bacca rossa non aromatici raccomandati o autorizzati per la provincia di Avellino, fino a un massimo del 15%.

Cenni storici e/o geografici: La zona di produzione è a nord-est di Avellino e comprende Taurasi e una quindicina di altri comuni, tutti nell’Avellinese. Come molti vini del Sud d’Italia, ha origini preromaniche: l’Aglianico, il vitigno principale da cui si produce questo vino, era un tempo detto "hellenico" o "hellenica", a sottolineare l’origine greca. Il Taurasi ha preso il nome da Taurasia, un piccolo borgo vinicolo che i Romani fecero loro dopo aver sconfitto gli Irpini, nell’80 d.C. Successivamente trasferirono nella zona alcune migliaia di coloni liguri per lavorare le terre vitate. Ci sono diverse citazioni storiche riferite all’Aglianico in generale e al Taurasi in particolare: alla fine del XVI secolo Andrea Bacci, medico del Papa Paolo III, scrisse che questo vino "viene preparato con uve piuttosto secche, reso vigoroso dal rovere e conservato in ottimi vasi; risulta pertanto profumato e sapido, gradevole al gusto, piacevolissimo e stabile, di elevato potere nutritivo, corroborante per lo stomaco e le membra più che aperitivo". Nel XIX secolo l’attività vitivinicola dell’intera provincia, con una produzione superiore a un milione di ettolitri largamente esportati, e quella dell’area del Taurasi, sono l’asse economico portante dell’economia agricola degli anni e del tessuto sociale tanto da portare alla costruzione della prima strada ferrata d’Irpinia, da lì a poco chiamata propriamente “ferrovia del vino”, che collegava i migliori e maggiori centri di produzione vinicola delle Colline del Sabato e del Calore direttamente con i maggiori mercati italiani ed europei. In particolare, nell’area di produzione ancora oggi sono presenti le stazioni di Taurasi e Lapio. Contribuisce a far diventare l’area uno dei più importanti centri vitivinicoli italiani l’istituzione della Regia Scuola di Viticoltura & Enologia di Avellino che sarà l’artefice della diffusione di numerose osservazioni scientifiche su questo vino. Eccellente frutto di una miscela perfetta d’ingredienti unici e non ripetibili – la terra, il clima e le uve dei rigogliosi vigneti di Aglianico situati sulle splendide colline irpine, tra i 400 ed i 700 metri slm – l’alta qualità delle sue produzioni e la loro diversificazione, secondo i terroir di origine dei singoli vini, offrono al consumatore un’ampia scelta di eccellenza qualitativa. Il Taurasi è vino dotato di struttura, elegante, austero ma equilibrato, tannico, chiuso quando giovane, adatto a lunghissimo invecchiamento, con grande mineralità, buona alcolicità, corpo e pienezza che trovano il loro equilibrio in bottiglia. Il colore rubino intenso con screziature granate, che tendono a riflessi aranciati nelle versioni più mature, è accompagnato da profumo etereo e caratteristico, gradevole, fruttato ed inconfondibile, più o meno intenso, e da sapore asciutto e vellutato, con retrogusto persistente e sentori di marasca. Decisamente tannico nelle bottiglie meno invecchiate.

Abbinamenti: Consigliato con primi piatti al sugo di carne, ziti spezzati con ragù alla napoletana, roast beef al forno, carni rosse arrosto, selvaggina da piuma in casseruola, formaggi a pasta dura e stagionati, ciambelline dolci al vino rosso. La Riserva è un vino da meditazione ma anche da tavola, dove si abbina a secondi piatti molto saporiti: carni rosse cotte a lungo in intingolo o nel vino, selvaggina da pelo marinata e cotta in casseruola, cinghiale in agrodolce, agnello al forno con patate.

 

Prodotto: PROVOLONE DEL MONACO (DOP)

Descrizione: Formaggio a pasta filata dura, dal sapore più o meno piccante, a seconda della durata della stagionatura, che va tra i 6 e i 18 mesi. Ha la forma di un melone allungato e la crosta sottile con leggere insenature longitudinali dovute ai legacci di rafia usati per il sostegno a coppia che lo suddividono in un minimo di 6 facce. La pasta compatta, morbida e di colore bianco crema, presenta rare fessurazioni lacrimanti e si scioglie dolcemente in bocca lasciando un piacevole retrogusto piccante. Per le sue particolari caratteristiche riesce ad arricchire di profumi e sapori alcuni piatti della tradizione locale, come la pasta e patate, pietanza di origine povera che acquista un sapore fuori del comune con l’aggiunta di Provolone del Monaco grattugiato o in scaglie sottili. Tante le leggende popolari sulle origini del nome, ma la tesi più accreditata è che i casari, che sbarcavano all’alba nel porto di Napoli ed erano soliti coprirsi con un mantello di tela di sacco per proteggersi dal freddo e dall’umidità, al mercato venissero spesso scambiati per monaci. 

 

Piatto: FUSILLI AL SUGO DI CASTRATO

Descrizione: Con un denso ragù di castrato – rosolato in aglio e olio e portato a cottura con vino rosso e pomodoro – e una spolverata di pecorino grattugiato si condiscono i fusilli, storica pasta del Cilento che ne ha registrati tre diversi tipi come Prodotti Agroalimentari Tradizionali: il Fusillo di Felitto, il Fusillo di Gioi e il Fusillo puritano. Le origini del fusiddo o u’ fusillu sembrano risalire almeno al Cinquecento, quando gli abitanti di Gioi ostentavano abbondanza alimentare ai Saraceni che li avevano assediati mostrando un impasto di uova e farina arrotolato sulla punta dei fucili attraverso i fori dei muri di cinta. Semola di grano duro, uova, acqua e un pizzico di sale vanno impastati energicamente sul pianale di legno (lo «scannaturo»). La pasta, lasciata riposare per un’ora, si taglia a tocchetti da cui sono ricavati dei bastoncini lunghi circa sei o otto centimetri e spessi mezzo centimetro; si inserisce il ferro nei bastoncini e si tira ottenendo così dei cilindri cavi. Un tempo il ferro veniva preparato dagli zingari nomadi che lo ricavavano dai ferri di cavallo consumati, agli inizi del XX secolo si cominciarono a usare i ferri quadrati che sostenevano la cupola di stoffa degli ombrelli, oggi sono disponibili in commercio bacchette della lunghezza e dello spessore desiderati. La tradizione li vuole anche conditi con una salsa al pomodoro in cui sia stato cotto un pezzo di manzo (o di prosciutto di maiale) intero, con un ragù di coniglio oppure mescolati con salsa di carne e pezzetti di mozzarella e passati in forno in tegamini di creta.