Auguri al Colli Orientali del Friuli Picolit

04/05/2020

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di  città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche,  vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1970 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

COLLI ORIENTALI DEL FRIULI PICOLIT 

Disciplinare: già DOC con DPR. 20.07.1970 (G.U.247 – 30.09.1970), poi DOCG con DM 30.03.2006 (G.U. 83 – 08.04.2006)

Regione: Friuli-Venezia Giulia

Enoregione/i: COLLI ORIENTALI FRIULANI

Provincia/e: Udine

Città del Vino: Comune di Torreano Comune di PrepottoComune di PremariaccoComune di NimisComune di ManzanoComune di Corno di RosazzoComune di Cividale del FriuliComune di Buttrio

Tipologie: Colli Orientali del Friuli Picolit, Colli Orientali del Friuli Picolit sottozona “Cialla” (anche Riserva)

Vitigni: Picolit (85-100%). Possono concorrere anche le uve di vitigni a bacca bianca idonee alla coltivazione nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in misura non superiore al 15% con esclusione del vitigno Traminer aromatico. La sottozona “Cialla” deve essere 100% Picolit.

Cenni storici e/o geografici: Il Picolit è un vitigno autoctono friulano, antichissimo, già coltivato in epoca imperiale romana, ebbe l’onore di deliziare i palati di papi e imperatori. Fra gli estimatori del Picolit, si annovera anche Carlo Goldoni, il quale definisce questo vino la gemma enologica più splendente del Friuli, oltre alla Corte di Francia, alla Corte papale e agli stessi Re di Sardegna, Imperatore d’Austria e Zar di Russia. Vitigno arrivato ai nostri giorni grazie all’opera del Conte Fabio Asquini di Fagagna che nel 1700 salvò questo pregiatissimo vitigno da sicura scomparsa. Fu lo stesso Asquini che lo rese noto ai “forestieri” in mercati di alto prestigio come Londra, Parigi, Genova, Milano, Ancona. Nell’Ottocento la produzione subì una fase di arresto, per poi ritornare vigorosa negli anni Settanta del XX secolo. Il Picolit è caratterizzato da produzioni limitatissime dovute a una particolarità nello sviluppo degli acini che vanno incontro ad un parziale aborto floreale, lasciando il grappolo spargolo con acini più piccoli e più dolci. I terreni della DOCG Colli Orientali del Friuli Picolit appartengono al così detto “Flysch di Cormòns” che è costituito da un’alternanza di strati di marne (argille calcaree) e arenarie (sabbie calcificate) dall’aspetto molto tipico. Questo insieme è chiamato in friulano (la lingua tradizionale della regione) “ponca”, ed è facilmente alterabile in presenza di agenti atmosferici e si sgretola velocemente in frammenti scagliosi che in seguito si decalcificano e mutano in giallastro l’originario colore grigio-azzurognolo, grigio-plumbeo fino a dissolversi in terreno argilloso. L’insieme dato dal clima, dalla conformazione del territorio e dalle selezioni viticole si traducono in un vino di color giallo spesso giallo oro zecchino, giallo oro vecchio o quasi ambrato, dopo alcuni anni di invecchiamento. Il profumo è elegante e ricorda il favo d’api, colmo di miele prodotto con tutti i fiori dei campi, molto fine. Il bouquet è ampio, di eccezionale eleganza, straordinariamente amalgamato, che dona in sequenza, un’incredibile serie di sfumature aromatiche: fiori di campo appunto. Il sapore è dolce-non-dolce, di nobile razza, aristocratico, lunghissimo nelle sensazioni che cangiano in continuazione.

Abbinamenti: Per le sue caratteristiche è un vino "da meditazione" che bene si abbina anche a diversi piatti: ostriche, foie gras, formaggi erborinati come lo Stilton o il Roquefort o piccanti stagionati, pasticceria secca, presnitz, gubana e preparazioni con la presenza di cioccolato.

 

Prodotto: LATTERIA (PAT)

Descrizione: Una volta si chiamava Latteria turnaria perché ogni famiglia a turno lo produceva con il latte delle vacche di tutti i soci. Preparato con latte bovino crudo di due mungiture, intero o parzialmente scremato, è un formaggio grasso a pasta dura semicotta e pressata. Alla salatura, che si effettua con una salamoia di quarantotto ore, segue una maturazione dai trenta ai sessanta giorni in ambiente umido, dove le forme vengono pulite con spazzola o straccio. La crosta è di colore giallo paglierino; la pasta, semicotta e poco occhiata, è leggermente più chiara. Il sapore dolce e caratteristico varia da zona a zona perché, pur essendoci una lavorazione standard, su di essa possono influire la razza bovina, il tipo di alimentazione, i metodi di allevamento, il clima, la microflora, e infatti quasi ogni forma ha un nome impresso sullo scalzo che richiama il luogo di produzione. Ottimo con il pane e con la polenta.

 

Piatto: GUBANA (PAT)

Descrizione: Nasce dalle Valli del Natisone questo dolce dalla tipica forma a chiocciola (gubat in sloveno significa «avvolgere»), che la tradizione voleva fosse fatto in casa durante le festività natalizie e pasquali e in occasioni speciali come un matrimonio, da dare in dono agli invitati. La preparazione è molto complessa, sia per la ricchezza degli ingredienti sia per le tre lievitazioni. Con un po’ di lievito naturale, farina, latte fresco intero, sale e zucchero, si prepara una pasta assai molle che deve riposare per circa venti minuti. Si uniscono poi altro zucchero, uova, burro fuso e farina e si lascia lievitare ancora un’ora. Si aggiungono di nuovo farina, burro fuso, uova, scorza di limone grattugiata, vaniglia naturale, zucchero, rhum e latte, e la pasta, che deve acquistare elasticità, riposa per altre tre ore. Si stende, si cosparge con il ripieno – un composto di noci, uva sultanina, pinoli, arancia e cedro canditi, mandorle, nocciole, cioccolato fondente, cannella, scorze grattugiate di limone e arancia, vino di Malaga e pangrattato – e abbondante burro e zucchero e si richiude il tutto a formare un cilindro, da arrotolare su sè stesso e cuocere a temperatura costante in forno per circa un’ora. Molte le varianti, tutte molto popolari: la gubana alla cividalese preparata con pasta sfoglia non lievitata, la putizza di origine slava che si fa solo a Trieste e ripropone un’analoga preparazione con qualche differenza nel ripieno e il Presnitz creato all’inizio dell’Ottocento da una pasticceria triestina in occasione della visita dell’imperatrice d’Austria e Ungheria Sissi (il nome del dolce sarebbe, infatti, l’abbreviazione del titolo di Preis Prinzessin – Premio Principessa – che gli fu conferito).

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