La Cantina, la “madre del vino”

07/01/2020

Ospitiamo, nella sezione Studi e Ricerche, un approfondito lavoro di ricerca e analisi realizzato tra il 1999 e il 2003 dall’Architetto Edoardo Venturini (ideatore e fondatore di "Cantine fatte ad Arte”) sull’evoluzione storica e tecnologica della "Cantina" e nello specifico su 15 cantine della Marca Trevigiana. Lo studio, dal titolo "La Cantina: storia, ambiente e progetto. Quindici cantine della Marca", costituisce oggetto di una Tesi di Laurea (Relatore Arch. Maurizio Schembri,  Istituto  Universitario  di  Architettura  di Venezia) finalizzata a cercare soluzioni per riadattare alla contemporaneità le strutture enotecniche prese in esame e tramandarne la storia riassegnando loro un posto nel panorama produttivo vitivinicolo.

Le aziende analizzate sono localizzate nell’area che comprende geograficamente quelle che oggi sono le docg Conegliano Valdobbiadene – Prosecco e Colli di Conegliano e le doc Prosecco, Montello-Colli Asolani e Piave: Abbazia di Vidor del Conte da Sacco – Vidor, Castello di Roncade del Barone Ciani Bassetti – Roncade, Villa di Maser dei Conti Luling Buschetti – Maser, Antiche Cantine (Bressa) Amistani di Guarda Villa Guillion-Mangilli – Pederiva, Rechsteiner dei Baroni Stepski Doliwa – Piavon di Oderzo, Villa Ronche del Conte Brandino Brandolini d’Adda- Cordignano, Bianchi de Kunkler dei Baroni Kunkler – Mogliano Veneto, Cantine Giuseppe Geronazzo & C. – Solighetto, Collalto Giustiniani Cecilia – Monastier, Conte Loredan-Gasparini – Venegazzù, Tenuta Bonotto delle Tezze – Tezze di Piave, Cantine Giol – San Polo di Piave, Cantina Adamo Canel s.a.s – Col San Martino, Conte Collalto – Susegana, Gregoletto Luigi – Premaor di Miane.

Assunto di partenza della tesi è la consapevolezza che le produzioni agricole e in particolare i vigneti coltivati, la loro cura e un loro corretto sfruttamento produttivo, sono gli unici fattori che possono contrastare il degrado delle colline trevigiane, tutelando l’aspetto paesaggistico-ambientalista del bene e favorendone una valorizzazione turistica a 360 gradi. A partire dal rispetto delle tradizioni colturali e dei sistemi d’impianto dei vigneti, preziosi strumenti per garantire la stabilità geomorfologia, geologica e idrogeologica dei suoli, fino al compito che, soprattutto in questi ultimi tempi, le opere e i monumenti storici spalmati nelle campagne e nei colli si sono ritagliati nell’ambito dell’enoturismo.

Ma l’aspetto particolarmente interessante del lavoro  è l’attenzione posta a quella che Giuseppe Mina nel 1892 chiamava la “madre del vino” e cioè la cantina, una “struttura” che per un lungo periodo tempo è stata espropriata dalle molte delle funzioni che svolgeva a causa della operazione di meccanizzazione che nel corso del Novecento ha portato sulla scena enotecnica nuovi impianti e soprattutto nuove cisterne vinarie autoregolanti. Mentre le apparecchiature e la meccanizzazione delle cantine progredivano ed avanzavano tecnologicamente, la cantina vinicola rimaneva priva di ogni interessamento tecnologico-costruttivo e soprattutto di dignità architettonica. Questa  insidiosa “crepa” tra l’impiantistica enologica e la cantina vinicola, presente anche in altri paesi europei, ha portato tra l’altro a quel continuo depauperamento delle campagne inflitto dalle migliaia e migliaia di capannoni in “stile” industriale che invadono i vigneti con la presunzione di rapportarsi ai celebri modelli delle cantine moderne.

Al contrario le nuove costruzioni enotecniche, dovrebbero essere realizzate nel rispetto delle tradizioni costruttive rurali locali (adoperando i materiali del luogo, i colori predominanti del sito, ecc.) e valorizzare anche gli aspetti dell’accoglienza, dei confort garantiti, dei servizi pubblici assicurati, dell’accesso alle informazioni, del gradimento dell’aspetto storico e architettonico della cantina, per costruirequel mix ottenuto da vino-paesaggio-gastronomia-arte che aumenta spaventosamente il valore del prodotto.

Basandosi su questi presupposti e distinguendo tra costruzioni antiche ancora in attività (a questo scopo sono state rilevate edifici che spaziano temporalmente dall’anno 1106 all’anno 1904) e cantine di nuova costruzione,  la tesi ipotizza  altrettanti e diversi interventi che tengono conto di tutte le problematiche del sito, del paesaggio, dell’ambiente, della struttura edilizia, delle regole costruttive, dell’impiantistica, della sicurezza e dell’igiene.  

Le architetture del vino sono peraltro un ambito di forte interesse per l’Associazione nazionale delle Città del Vino, che ha tra l’altro sostenuto fin dal suo avvio il progetto “Toscana. Wine Architecture”, un circuito di 25 cantine d’autore e di design, contemporanee per le loro strutture e per lo spirito culturale che le anima.  Senza dimenticare che anche in molte altre regioni italiane – Piemonte, Trentino, Veneto, Campania, solo per ricordarne alcune – grandi maestri dell’architettura del XX secolo hanno adottato, nella costruzione delle cantine, linee progettuali innovative. 

E’ evidente, infatti, che il rinnovato rapporto estetico fra spazio di produzione e prodotto lavorato, l’introduzione della bioarchitettura, un utilizzo sostenibile delle risorse (riduzione dei consumi energetici, uso dei materiali locali, controllo tecnologico attraverso centrali informatizzate intelligenti) e la riduzione dell’impatto visivo attraverso sistemi di verde e l’integrazione con il paesaggio, contribuiscono ad offrire un qualificante biglietto da visita non solo delle aziende, ma di tutto il territorio circostante. (di Alessandra Calzecchi Onesti)

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