Il recupero delle vigne monastiche

21/04/2020

Prosegue il nostro viaggio tra i monasteri di Umbria e Lazio, dove da sempre si produce vino, e tra le aziende che hanno recuperato coltivazioni un tempo curate da ordini monastici.

I Cistercensi della Stretta Osservanza o Trappisti sono un ordine religioso contemplativo cattolico romano che segue la Regola di San Benedetto. Nel Monastero Trappiste di Vitorchiano (VT) (www.trappistevitorchiano.it), nel Viterbese, le monache conducono una vita “cenobitica”( il cenobitismo è una forma comunitaria di monachesimo) semplice e povera, nella solitudine e nel silenzio, nella preghiera e nel lavoro (editoria e agroalimentare). Le attività nei campi  permettono di ricavare dall’orto e dai frutteti i prodotti necessari all’alimentazione del Monastero e di produrre olio extravergine di oliva e vino per il consumo interno e per la vendita. La coltivazione e la vinificazione seguono metodi naturali: trattamenti solo con zolfo e rame, inerbimento permanente tra le piante lasciando gli sfalci sul terreno, pochi travasi in cantina, niente addizioni di sostanze estranee alla frutta d’origine e al terroir che li hanno generati se non poca solforosa. Dalle vigne centenarie, allevate sul terreno ricco di roccia magmatica conosciuta come ‘peperino’ dell’Alto Lazio, escono tre IGT Lazio, dai nomi latini e dalle etichette  caratterizzate da una descrizione minuziosa scritta a mano. Un rosso, il “Benedic” (Sangiovese e Ciliegiolo), e due bianchi, il “Coenobium” e il “Coenobium Ruscum”, ottenuti da uve Trebbiano, Malvasia del Lazio, Verdicchio e Grechetto. Il “Benedic”, di colore granato, presenta al palato un’acidità importante e un tannino ruvido interessante. Il “Coenobium” ha un giallo molto carico, leggermente offuscato per via dei lieviti residui. I profumi delicati e dolci, floreali e a tratti mielati, sono nascosti dietro un’iniziale impenetrabilità. Vino “rustico” nel senso buono, in bocca è schietto, fresco, con note minerali e sentore di lievito per via della fermentazione sulle bucce. Il “Coenobium Ruscum” – ventimila bottiglie in tutto che raggiungono anche gli Stati Uniti, Canada e Giappone – rientra a pieno titolo nella categoria degli orange wine, per il suo giallo ambrato consistente che vira verso l’arancione a causa della macerazione di 15 giorni sulle bucce e un anno in acciaio. Gli aromi di varia complessità (floreale di fiori bianchi campestri, balsamico di menta e salvia, erbaceo di erba tagliata, fruttato di mela e pera e leggeri tocchi di buccia d’arancia) col tempo crescono gradualmente e corrispndono ad un gusto fresco e sapido, leggermente tannico.

A Roma, dove ancora a metà del 1800 il Gianicolo e Villa Pamphili erano ricoperti di vigne, i giardini del Convento Francese del Sacro Cuore di Trinità dei Monti ospitano un piccolo appezzamento di viti. Chiesa e Convento furono costruiti, a partire dal 1502, su un’area che fino ai primi del VI secolo era un enorme vigneto, donato dal re di Francia Carlo VIII a un ordine di frati. Anche l’adiacente Villa Medici, che dal 1803 ospita l’Accademia di Francia, sorge sulla collina del Pincio nello spazio occupato nell’antichità dagli Horti Luculliani. Quando, nel 1564, il cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano acquistò la Casina Crescenzi, all’epoca l’unico fabbricato “civile”, il podere comprendeva un’azienda agricola in mezzo a terreni coltivati a vigne. Recentemente rivalutato, il vigneto è stato protagonista, alcuni anni fa, di un’iniziativa nata dalla collaborazione tra i Comuni di Roma e Narbonne (città di origini romane), l’Associazione Nazionale Città del Vino, l’Ambasciata francese presso la Santa Sede e gli studenti dell’Istituto Agrario Emilio Sereni. I ragazzi hanno curato impianto, potature, vendemmia e trattamenti sanitari delle circa ottanta barbatelle di vitigni nativi della Languedoc (Carignan Nero, Syrah, Grenache nero, Picpoul, Moscato di Alessandria, Mourvèdre), messe a dimora da una rappresentanza di viticoltori di Narbonne, ed hanno prodotto il “De vino Gallico” (un centinaio di bottiglie nel 2008).

La Comunità di Bose (www.monasterodibose.it) non riceve sovvenzioni di nessun tipo e vive unicamente dei proventi del lavoro dei suoi membri. Recentemente è stata creata Agribose per incrementare l’e-commerce in Italia e all’estero dei prodotti delle fraternità attive in Toscana, Lazio, Puglia e Umbria: libri, miele, tisane, prodotti da forno, olio extravergine. Dal vigneto e dall’uliveto del Monastero di Civitella San Paolo (Roma) nascono gli extravergine “Santa Scolastica” e “Moraiolo”, direttamente dalle olive coltivate e raccolte dalle sorelle al monastero e unicamente mediante procedimenti meccanici con estrazione a freddo, e “Quam bonum”, un bianco secco ben fruttato da tavola, ottenuto con le uve più diffuse sul territorio (Malvasia, Trebbiano e Garganega) e vendemmiate a mano nel vigneto del monastero da oltre cinquant’anni. Nella Fraternità di Assisi (PG), oltre all’extravergine ricavato dalla miscela di Moraiolo, Leccino e Frantoio,  si produce il Grechetto Dop da un vitigno tipico dell’Umbria, la cui coltura risale al periodo delle conquiste romane e che deriva dall’antico “Vino Greco” importato dalle isole del Mediterraneo. Le uve allevate nelle terre del Complesso di San Masseo, sorto su fondamenta romane e bizantine e dove la cura della vite e dell’ulivo ad opera dei monaci risale all’anno 1059, danno un vino cristallino, dall’aroma intenso, con caratteristica persistenza di mandorla e sentori vegetali, di ginestra e di fiori di campo, di nespola e di pesca bianca.  

PROVERBI …

“A chi non piace il vino, il Signore faccia mancare l’acqua”

“A San Martino, apri la botte e assaggia il vino”

“A San Martino, tappa il barile e assaggia il tuo vino”

“A San Martino, bevi buon vino e lascia l’acqua per il mulino”

“A San Martino ogni mosto è vino”

“Dopo il dì di Sant’Urbano più non gelano tralci e grano”

“L’acqua per San Giuan, porta via il vino e non dà pan”

“La notte di San Giovanni entra il mosto nel chicco”

Per San Barnabà l’uva viene e il fiore va

“Per San Marco goccia lo spino, abbondanza di pane e vino”

“Per San Martino, cadon le foglie e si spilla il vino”

“Per San Martino castagne e buon vino”

“Per San Martino nespole e vino”

“Per San Martino, si spilla il botticino”

“Per San Michele, l’uva è come il miele”

“Per San Paolino, c’è il grano e manca il vino; per San Frediano, c’è il vino e manca il grano”

“Per San Renato stura la botte anche il curato”

“Per Santa Maddalena se la nocciola è piena, il fico ben maturo, il gran copioso e duro e il grappolo serrato,  il vino è assicurato”

“Se piove durante la novena di Sant’Antonino, non ci sarà né olio, né miele, né vino”

Se piove per San Barnabà, l’uva bianca se ne va; se piove mattina e sera, se ne va la bianca e la nera

“Se piove a Santa Petronilla poco mosto dall’uva zampilla”

“Se piove per San Vito il vino se n’è ito”

 

E DETTI

Bere …

…alla cappuccina: bere poveramente

…alla celestina: bere largamente

…alla giacobina: bottiglia dopo bottiglia

…in cordoncina: vuotare la cantina (con allusione alla cintura di corda dei francescani conventuali)

 

Vino opera di Dio, ubriachezza opera del diavolo (San Giovanni Crisostomo)

 

Dio non aveva fatto che l’acqua, ma l’uomo ha fatto il vino (Victor Hugo)

Ci sono poi aziende che hanno recuperato coltivazioni un tempo curate da ordini monastici. Come il Monastero dei Frati Bianchi di Fivizzano (MS) (www.monasterofratibianchi.it), che nel 2004 ha deciso di ristrutturare i propri vigneti e recuperare le terre che erano già possedimenti dell’antico Monastero e che, dopo essere state vitate per secoli, negli ultimi decenni erano cadute in abbandono. Da Merlot, Pollera e Barsaglina si ricava l’IGT Toscana Cenobio; da Barsaglina l’IGT Toscana Barsaglina; da Syrah l’IGT Toscana Deir; da Pollera l’IGT Toscana Pollera; da Vermentino, Albarola e Durella e Chardonnay l’IGT Val di Magra Margine Bianco. Cenni storici sulla viticoltura indicano la presenza del Pollera nel comprensorio Lunigianese già prima del 1800: il vino si caratterizza per l’eleganza dei profumi che spaziano dai ricordi floreali, alla frutta del sottobosco, alle note speziate, mentre al palato un attacco morbido lascia poi spazio alla struttura tannica e termina in un finale prolungato e dolce. La Barsaglina è un vitigno autoctono della provincia di Massa e Carrara, dove il vino è da sempre chiamato La Massaretta: di un colore rosso rubino fitto ed impenetrabile, ha profumi intensi che ricordano la frutta e le spezie, sapore molto corposo, strutturato, con una cospicua componente tannica.

O l’Azienda Agricola Valle Vermiglia di Roma (eremotuscolano.it) che, all’interno di uno spazio Sacro nella parte più suggestiva di Monte Tuscolo, ha ridato vita al compendio agricolo adiacente l’Eremo camaldolese di Monte Corona, uno dei siti religiosi monastici di maggior fascino dei Castelli Romani. Terreni incontaminati circondati da antiche mura e da bosco, vigneti e uliveti, costituiscono una splendida cornice al complesso claustrale, distaccato in modo da assicurare il massimo isolamento ai monaci, secondo le rigide regole dell’Ordine. I grappoli di questa zona hanno una storia lunghissima perché vengono lavorati per dare vino almeno dal tardo Medioevo e il Frascati, che prende il nome dalla più importante cittadina dell’area di produzione,  tra il 1800 e il 1900 era uno dei più conosciuti e apprezzati al mondo. Il Frascati Superiore Eremo Tuscolano DOCG (Malvasia del Lazio 60%, Malvasia di Candia 10%, Trebbiano giallo, Trebbiano toscano e Bombino bianco 30%) è al naso evoluto di vegetali secchi, paglia essiccata, pasta di mandorle, con aromi minerali, floreali, di frutta bianca e tropicale, frutta secca e  in bocca molto armonioso, leggermente ossidativo e sostenuto da reale freschezza.

Aveva invece chiuso per la crisi di vocazioni il Monastero delle “suore del vino bianco”, che per 106 anni, a Santo Stefano Belbo, nel Cuneese, avevano prodotto un moscato speciale, richiesto dalle parrocchie di tutta Italia, Vaticano compreso. Nel 2016 la Cantina Beppe Marino (www.beppemarino.it) ha deciso di trasferire la sua produzione nello storico monastero riaprendo la struttura dove erano rimaste in perfetto stato di conservazione pigiatrici e presse automatiche, vasche in acciaio, filtri, pompe e linee di imbottigliamento. E restituendo  così splendore ad un Moscato d’Asti DOCG aromatico con sentori primari di uva Moscato, miele, rosa, fiori di tiglio e di acacia, sensazione dolce e piena compensata da una contenuta acidità che consente al vino di non risultare eccessivamente stucchevole, particolarmente indicato in abbinamento a dessert della tradizione piemontese: zabaione, bunet al cioccolato e pasticceria secca.

La Società Agricola Evaristiano a Putzu Idu (San Vero Milis, OR) (www.cantinaevaristiano.it) è l’azienda vinicola della Compagnia delle figlie del Sacro Cuore evaristiane, che vendemmiano, potano e vinificano vini biologici di qualità. Avviata già dal 1939 dallo stesso Fondatore della Compagnia, continua a rappresentare una fonte di autosostentamento e di aiuto alle persone in difficoltà, con un impegno continuo ai fini educativi e formativi. Oggi l’Azienda ha a disposizione circa 23 ettari, frutto di una donazione degli anni ‘80, per metà dedicati alla coltivazione di ortive e per l’altra metà ai vigneti. Animata dalla cultura della solidarietà contadina la Compagnia si avvale, oltre che della professionalità di alcuni Confratelli, del contributo di numerosi volontari: medici, ingegneri, meccanici, coltivatori, artigiani. L’idea, terrrena e divina nello stesso tempo, per cui l’aiuto reciproco fa parte dell’armonia della natura, ha condizionato anche la scelta del biologico che in ogni tecnica non naturale vede una sorta di intrusione che ne rompe appunto l’armonia. Tre le DOC prodotte – il Cannonau Aristo, il Monica Flora e il Vermentino Is Araus – e due le IGT Tharros (Bianco da Vermentino, Chardonnay e Sauvignon, e Rosso da Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Barbera e Cannonau) e Isola dei Nuraghi (Le Tavole, rosso ottenuto da uve Syrah, Sangiovese e in piccola percentuale da Bovale, e Saturnino, rosso novello a base Sangiovese, Cabernet Sauvignone Barbera, interamente ottenuto da macerazione carbonica), alle quali si aggiungono il passito da meditazione “Dominus” da uve Moscato e lo Spumante di Qualità Metodo Classico Brut Maistu (Chardonnay). TO BE CONTINUED(di Alessandra Calzecchi Onesti)

 

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