Il Lambrusco Mantovano

12/03/2020

Nel 2013 abbiamo celebrato il Cinquantenario della approvazione della prima regolamentazione giuridica di tutela delle Denominazioni di Origine dei Vini, ha voluto ogni anno ricordare i “compleanni” delle DOC. Da allora l’Associazione, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche, ha voluto ogni anno ricordare i “compleanni” delle DOC. Tra i diversi vini che nel 2020 compiono i “cinquanta” ci sono 3 Lambruschi: Sorbara, Grasparossa di Castelvetro e Salamino di Santa Croce. Il Lambrusco Mantovano e il Lambrusco Reggiano non sono tra questi, perché i loro disciplinari risalgono rispettivamente al 1987 e al 1971, però vogliamo ugualmente raccontarli insieme ai loro “cugini”.

 

LAMBRUSCO MANTOVANO

Disciplinare: Approvato con D.P.R. 6.05.1987 (G.U. 245 – 20.10.1987)

Regione: Lombardia

Provincia/e: Mantova

Città del Vino: Quistello

Enoregione: BASSA LOMBARDIA

Tipologie: Lambrusco Mantovano Rosso e Lambrusco Mantovano Rosato anche con la specificazione delle sottozone "Viadanese-Sabbionetano” e “Oltre Po Mantovano".

Vitigni: Lambrusco Viadanese (localmente denominato Grappello Ruberti), Lambrusco Maestri (localmente denominato Grappello Maestri), Lambrusco Marani e Lambrusco Salamino, da soli o congiuntamente per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione di detti vini anche le uve provenienti da vitigni: Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa (localmente Grappello Grasparossa), Ancellotta e Fortana, da soli o congiuntamente, nella misura massima del 15%.

Cenni storici e/o geografici: La zona di produzione è costituita da due aree disgiunte, una comprendente il Viadanese-Sabbionetano e cioè il territorio compreso fra il fiume Oglio e il fiume Po e l’altra costituita dall’Oltre Po Mantovano. La coltivazione della vite nell’Oltre Po mantovano ha origini antiche, il poeta Virgilio, nativo di Mantova descrive l’esistenza della Vitis labrusca duemila anni fa, nella sua quinta Bucolica. La coltivazione della vite assume consistenza alla fine del secolo XI con i monaci benedettini nei territori dell’abbazia di Polirone a San Benedetto Po, definita per la sua importanza la Cassino del nord. I monaci stabilivano agli affittuari un imponibile vinicolo. Questo grazie alla politica della contessa Matilde di Canossa che con donazioni favorì l’insediamento di comunità religiose nelle terre di sua pertinenza. Ad esse affidava il controllo del territorio favorendo con opere di bonifica e di disboscamento la produttività del terreno e la coltivazione della vite. Quindi una coltivazione che nasce da “terre nuove”, strappate alle esondazioni del fiume e messe al sicuro con le arginature. Queste terre caratterizzano le qualità organolettiche della produzione vitivinicola. L’ arte millenaria del vino è testimoniata da un bassorilievo dei mesi, attribuito alla scuola di Wiligelmo e faceva parte della decorazione della basilica romanica: “Ottobre che travasa il mosto”. Questo bassorilievo del Mese-agricoltore, con le vesti sollevate e chino nell’atto di versare il mosto evidenzia come l’arte della vinificazione fosse importante, non solo come attività dominante in un periodo dell’anno, ma anche per i suoi significati religiosi e le sue implicazioni liturgiche tanto da essere inclusa nella celebrazione monumentale del processo di insediamento dell’area. In tempi più recenti la coltivazione del Lambrusco è testimoniata da convegni in particolare il Convegno viticolo della Val Padana, San Benedetto Po, 16 gennaio 1949, che descrive come la vite fosse coltivata maritata all’olmo nelle classiche piantate mantovane. La coltivazione della vite nel Viadanese-Sabbionetano ha origini antiche come nell‘Oltre Po mantovano, dal poeta Virgilio, che cita l’esistenza della vite ai tempi più recenti con la coltivazione della vite in filari spesso accompagnata ad alberi con funzione di sostegno. La coltivazione avveniva sulle terre strappate alle esondazioni del fiume e messe al sicuro con le arginature, quindi terreni di origine alluvionale, fertili, freschi che caratterizzano le qualità organolettiche della produzione vitivinicola.

Abbinamenti: Consigliato con una cucina grassa e saporita, in passato veniva aggiunto al brodo per farlo raffreddare e per scaldarsi di più.  D’estate si sposa bene con melone, salame, pancetta, coppa, mortadella, spalla, frittate fredde, torte salate, carne alla brace. D’inverno è ottimo con tortellini, bolliti misti, cotechino in umido, coniglio, stracotto, arrosti di carni bianche, fritto di pesce d’acqua dolce, anguilla con piselli, trota alla mugnaia, calamaretti in umido, Parmigiano e Grana, sbrisolona.

 

Prodotto: SBRISOLONA (PAT)

Descrizione: La ricetta di questo dolce povero di origini contadine, oggi in attesa del riconoscimento del marchio di Denominazione di Origine Controllata, risale a prima del Seicento quando pare fosse molto apprezzata alla corte dei Gonzaga. La città di Mantova ne contende la paternità a Cremona, ma si prepara pure in Emilia-Romagna e ne esiste una simile nel Veronese (la torta sgriesolona o rosegota) e nel Trentino (la torta di fregoloti). Un tempo la sbrisolona si preparava con farina di mais, strutto e nocciole. Oggi, che i gusti si sono raffinati, alcuni preferiscono aggiungere anche un po’ di farina bianca e di burro e sostituire le più economiche nocciole con le mandorle. Alle due farine si incorporano velocemente burro, strutto, uova (solo il tuorlo), zucchero, buccia di limone grattugiata e una parte della frutta secca (privata del guscio e tritata grossolanamente). L’impasto va poi distribuito a pioggia su una tortiera ben imburrata cercando di sbriciolarlo con le mani e senza compattarlo sul fondo. Si guarnisce con qualche mandorla o nocciola lasciata intera e si inforna a 180° C per circa un’ora. Quando è cotta, si toglie dalla teglia ancora calda, per evitare che si frantumi, e si serve con una spolverata di zucchero. La consuetudine vuole che la torta, che prende il nome dalla caratteristica consistenza dura e friabile, non vada assolutamente tagliata con il coltello e le brise sono appunto le briciole grandi e piccole che si formano quando viene spezzata con le mani per fare le porzioni.

 

Piatto: FRITTATA CON I LUVERTIS

Descrizione: Il luvertis – noto pure come bruscandoli, asparagina o asparagi selvatici – è il germoglio del luppolo selvatico (Humulus lupulus), una pianta spontanea che in primavera cresce in mezzo alle siepi e lungo le rive dei fossi nelle campagne della pianura lombarda. Le tenere cime ricordano dei piccoli asparagi selvatici e si possono utilizzare per risotti, frittate e minestre, cui conferiscono un caratteristico sapore aromatico e leggermente amarognolo. Ingredienti (per 3-4 persone): 1 mazzetto di luvertis, 1 piccolo scalogno o 1 cipollotto, 4 uova, 2 cucchiai di grana grattugiato, 100 gr di mozzarella, 3-4 cucchiai di latte o crema di latte, burro, vino bianco secco, sale e pepe. Preparazione: Tagliate la mozzarella a fettine e mettetela a scolare su carta da cucina. Tagliate lo scalogno finissimo e rosolarlo in padella con il burro. Quando inizia a colorare sfumate con poco vino bianco e lasciate evaporare a fiamma alta. Unite i germogli lavati e tagliuzzati grossolanamente. Salate, pepate, mescolate e abbassate la fiamma. Bagnate con qualche cucchiaio d’acqua, senza esagerare, e lasciate cuocere per 5 minuti circa, fino ad assorbimento del liquido. Intanto rompete le uova in una ciotola, aggiungete sale e pepe, il latte e il formaggio grattugiato. Sbattete bene, aggiungete i germogli cotti e versate il tutto in una padella antiaderente con un pezzetto di burro ben sciolto. Mescolate per aiutare le uova a rapprendersi, poi aspettate finché la frittata si stacca dal fondo della padella. Quando anche la superficie si è rappresa, girate la frittata aiutandosi con un coperchio e distribuite sulla superficie le fette di mozzarella. Coprite con un coperchio, spegnete il fuoco e lasciate riposare qualche minuto in modo che la mozzarella si sciolga prima di servire.

 

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