Auguri all’Oltrepò Pavese

25/06/2020

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di  città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche,  vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1970 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

OLTREPÒ PAVESE DOC

Disciplinare: approvato con D.P.R. 6.08.1970 (G.U. 273 – 27.10.1970)

Regione: Lombardia

Provincia/e: Pavia

Enoregione/i: OLTREPO’ PAVESE

Città del Vino: Comune di Santa Maria della VersaComune di Santa GiulettaComune di RovescalaComune di Montù BeccariaComune di MontescanoComune di Montalto PaveseComune di Cigognola, Comune di CastanaComune di Canneto PaveseComune di BroniComune di Colli VerdiComune di Torrazza Coste, Comune di Pietra de Giorgi

Tipologie: Oltrepò Pavese Rosso anche Riserva, Rosato anche Frizzante, Bianco, Barbera anche Frizzante e Riserva, Riesling anche Frizzante, Spumante, Superiore e Riserva, Cortese anche Frizzante e Spumante, Moscato anche Frizzante, Spumante, Passito e Liquoroso, Malvasia anche Frizzante e Spumante, Pinot Nero (vinificato in bianco), anche Frizzante e Spumante, Pinot Nero (vinificato in rosato) anche Frizzante e Spumante, Chardonnay anche Frizzante e Spumante, Sauvignon anche Spumante, Cabernet Sauvignon

Cenni storici e/o geografici: L’Oltrepò Pavese è da sempre un territorio di elezione per la viticoltura, sia per la grande tradizione di produzione di vini tranquilli e mossi rossi e bianchi, sia per l’indiscutibile antica tradizione per la produzione dello spumante metodo classico e charmat. Uno dei passi storicamente più rilevanti dell’enologia oltrepadana è la nascita delle Cantine Sociali. La storia narra che la prima vide la luce nel 1902. Furono già allora introdotti i criteri del vigneto specializzato, della razionalizzazione degli impianti e dei cloni. Insomma vennero fatti i primi passi fondamentali per la produzione di qualità. Il 1961 segna l’anno della svolta con la nascita dell’attuale Consorzio, ancor prima della legge istituzionale delle Denominazioni di Origine Controllata, con il fine di promuovere e far crescere l’immagine dei vini tipici prodotti in questa terra. Il Consorzio, con il passare degli anni, assunse un ruolo sempre più fondamentale legato alla tutela e alla promozione del vino. Gli emblemi consortili hanno da sempre voluto ricordare il ruolo fondamentale che il vino riveste in questa zona: il Signore del Brio, in vigore dal 1994 al 2010, rappresentava un personaggio vissuto nella corte cinquecentesca dei marchesi Malaspina al quale era demandato il compito dell’organizzazione e del successo delle feste. L’attuale emblema, che riprende il vecchio simbolo in vigore fino al 1994 consiste invece in una figura che sta a simboleggiare la gioia e la fortuna del vino per l’Oltrepò Pavese: il “folletto o Jolly danzante”. Esso si presenta nella posizione detta “danzante”, che simboleggia la pigiatura dell’uva; la mano sinistra è piegata in un gesto di accoglienza; ha una coda ricurva verso l’alto che finisce con una foglia di vite; la ghiera che lo contiene presenta 4 rientranze in corrispondenza dei 4 punti cardinali segno di una apertura in tutte le direzioni. Apertura che è sia geografica, sia culturale. Mino Milani, noto scrittore nonché storico e giornalista pavese, per un testo dedicato all’Oltrepò (edito nel 2001 dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, curato dal fotografo Fulvio Roiter e dallo 20 stesso Milani), scrive: “Dei vari, o dei possibili Oltrepò, il più vero è certamente quello delle vigne. Il solo nome, del resto, evoca immediatamente immagini e idee di uva, vendemmia, cantina, vino… Oltrepò: è quasi inutile aggiungere la parola pavese, perché non ve ne sono altri; e da sempre i pavesi vengono qui a rifornirsi di buon vino: “sulle colline, assai fertili poiché non hanno terreno pietroso, ci sono castelli e numerose ville, e vigne che producono vini bianchi pregiatissimi”, e così scriveva nel Trecento frate Opicino de’ Canistris. La vite già aveva segnato il destino della terra, il carattere dei suoi abitanti, cui aveva dato non solo lavoro e quindi ricchezza, ma anche una rustica nobiltà, da contrapporsi a quella bellicosa dei proprietari di ville e castelli. La storia ha il suo corso (o la sua logica) inesorabile, e la vigna ha prevalso su ville e castelli, rimasti a testimonianza d’un orgoglio comune. Che cosa fosse l’Oltrepò prima della vigna, lo possiamo immaginare senza troppa fatica: foreste, brughiere, distese incolte; uno scenario che l’uomo ha via via modificato, respingendo in alto i boschi, aggredendo il gerbido, piegando la terra alle proprie necessità. Guardando i terrazzamenti, i ripari e gli argini che scandiscono e definiscono le vigne e consentono le strade, possiamo valutare (ma non senza un po’ di vertigine) l’imponenza del lavoro secolare, umile e anonimo, che ha mutato l’aspetto di queste zone”. La DOC “Oltrepò Pavese”, dalla nascita avvenuta nel 1970, ha vissuto una serie di modifiche nel 1975, 1977, 1987 e 1995, fino alle più recenti e sostanziali del 2007 e 2010 quando dapprima la tipologia Metodo Classico è stata estrapolata dalla DO (DM 27 luglio 2007) per elevarsi alla categoria DOCG e poi (DM 3 agosto 2010) quando hanno ottenuto valore autonomo le tipologie Bonarda, Buttafuoco, Sangue di Giuda, Pinot nero (vinificato in rosso) e Pinot grigio, per la loro importanza storica e/o commerciale.

Abbinamenti: Variano a seconda della tipologia di vino: aperitivi, antipasti di pesce, piatti tradizionali del pavese, primi piatti delicati, secondi piatti di carne bianca e rossa, pasticceria secca.

 

Prodotto: COPPA DELL’OLTREPÒ

Descrizione: La coppa dell’Oltrepò Pavese – ovvero il muscolo sopra al collo del maiale, salato e conservato a crudo – differisce da quella piacentina soprattutto perché più magra e più piccola (il peso dopo la stagionatura è di circa due chili). I suini sono nutriti con prodotti locali e la lavorazione non prevede l’uso di conservanti chimici. Dopo cinque o sei giorni di concia con sale marino e spezie, viene marinata nel Bonarda, insaccata in budello grosso naturale e lasciata stagionare, nelle tipiche cantine del territorio, dai cinque agli otto mesi. Poiché diventa quasi secca e molto difficile da affettare, prima di consumarla va avvolta in uno strofinaccio e lasciata in infusione in un vino corposo come la Barbera per qualche giorno, finché la pelle, completamente viola, si staccherà facilmente e la coppa, ormai ammorbidita, diventerà facilmente affettabile, saporita ma non salata.

 

Piatto: TORTA DEL DONIZETTI (O TURTA DEL DONIZÈT) (PAT)

Descrizione: Dedicata al grande musicista bergamasco, è una morbida ciambella dal sapore delicato. Si montano burro e zucchero e si aggiungono dei tuorli, uno per volta, amalgamandoli bene. Poi si incorporano lentamente gli albumi montati a neve con lo zucchero, seguiti poco alla volta da farina, fecola, canditi di albicocche e ananas, maraschino e i semini di un baccello di vaniglia. Il tutto va poi versato in una teglia imburrata, infornato a 180° C per circa quaranta minuti e, quando è completamente raffreddato, spolverizzato con zucchero a velo e guarnito di frutta candita.

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