Auguri alla Barbera d’Alba

22/01/2020

L’Associazione nazionale Città del Vino, che conta tra i suoi Comuni un gran numero di  città legate ai disciplinari delle denominazioni storiche,  vuole celebrare i 50 anni dei vini che hanno ottenuto la certificazione nel 1970 con articoli, eventi e approfondimenti. Iniziamo proponendo una scheda con le caratteristiche e gli abbinamenti di queste DOC (alcune delle quali sono nel frattempo diventate DOCG).

 

BARBERA D’ALBA

Disciplinare: Approvato con DPR 27.05.1970 (GU 228 – 09.09.1970)

Regione: Piemonte

Provincia/e: Cuneo

Città del Vino: Verduno, Treiso, Neviglie, Monteu Roero, Montelupo Albese, La Morra, Guarene, Barolo, Barbaresco, Alba, Serralunga d’Alba, Santo Stefano Belbo

Enoregione:LANGHE E ROERO

Tipologie: Barbera d’Alba e Barbera d’Alba Superiore

Vitigni: Barbera (85-100%), Nebbiolo (0-15%)

Cenni storici e/o geografici: Il Barbera d’Alba nasce nelle langhe, termine che secondo alcuni studiosi deriverebbe da "Langues" che non sono altro che delle lingue di terra che si estendono in un vivace gioco di profili, modulati dal mutare delle stagioni. Dal punto di vista geologico, le Langhe hanno origine nell’Era Terziaria o Cenozoica, iniziata quasi 70 milioni di anni fa. La marna tufacea bianca caratterizza il comprensorio di produzione, sulle colline alte a dominare il fiume Tanaro. Il terreno di cui è composto il territorio nella sua massima parte appartiene a quella formazione geologica che si chiama "terreno tortoriano", uno dei 14 strati dai quali è formata la pila dei terreni sedimentari che compongono il bacino terziario del Piemonte. Il terreno Tortoniano è caratterizzato da marne e sabbie straterellate. Queste marne sono di un colore grigio-bluastro, non molto resistenti e danno luogo a colline biancheggiati piuttosto basse e rotondeggianti, sono molto favorevoli alla coltivazione della vite. Il vitigno Barbera attesta in maniera esemplare la fortuna del territorio di Langa e Roero: produrre grandi vini da invecchiamento ed al contempo regalare emozioni nei vini più giovani. Viene coltivato prevalentemente sui versanti Sud – Ovest, con forma di allevamento a spalliera con potatura guyot. Il Barbera d’Alba è ottenuto dalla vinificazione in purezza del vitigno Barbera, anche se in alcuni casi è tradizionale un piccolo assemblaggio con il Nebbiolo per smorzare la caratteristica acidità del vitigno. Considerato in passato  un vino “rustico”, con il tempo è cresciuto nella stima del pubblico perché si è dimostrato capace di offrire, tramite appropriati processi di vinificazione, sia ottimi vini di pronta beva, sia vini di media longevità e buona struttura che resistono al tempo e confermano, dopo molti anni, i caratteri più originali di una terra e di un vitigno di particolare prestigio. La Barbera d’Alba ha colore rosso rubino, odore fruttato e caratteristico, sapore asciutto, sapido, armonico. Il tipo Superiore si caratterizza per l’eventuale presenza di sentori di legno.

Abbinamenti: Bene si abbina agli antipasti caldi della cucina piemontese, agnolotti al ragù, tortellini in brodo, risotto alla milanese, piatti di carni bianche e rosse lesse e bollite, arrosto di vitello e di agnello, lonza di maiale arrosto. Ottimo con stracotti, umidi e stufati di manzo, con cotechino e lenticchie e con i formaggi delle Langhe di media stagionatura.

 

Prodotto: TUMA DI PECORA DELLE LANGHE (PRESIDIO SLOW FOOD)

Descrizione: Tra le più antiche robiole del Piemonte, originario dell’omonimo paese della provincia di Cuneo, il Murazzano (DOP) è un formaggio fresco e delicato a maturazione veloce, dal gusto peculiare dovuto alla rigorosa alimentazione degli ovini e delle mucche piemontesi che forniscono il latte con cui viene preparato. Il Presidio Slow Food tutela una robiola della stessa fattura del Murazzano perché sia prodotta, tra aprile e novembre, con il latte crudo della pecora delle Langhe – razza oggi a rischio di estinzione – e aggiunta di una percentuale massima del 5% di latte di capra, entrambi rigorosamente crudi e interi e ricavati da due mungiture. La cagliatura con caglio di vitello liquido avviene a temperatura ambiente e dura non meno di 12-13 ore; poi la cagliata, dopo la rottura, è collocata negli stampi, rivoltata più volte (per due o tre giorni) e salata a secco. Dopo l’asciugatura diventa una morbida robiola, di forma cilindrica e peso variabile di 200 o 300 grammi. Non ha crosta e la pasta, di colore bianco paglierino, è fine e compatta, a volte con una leggera occhiatura. Più burrosa in estate, dolce e gustosa già dopo dieci giorni, man mano che matura – riparata con una formaggiera, ossia una rete finissima per tener lontani gli insetti – diventa una tuma, molto più piccola, più sapida, dura al tatto ma tenera in bocca perché molto grassa. Dopo circa due settimane si lascia indurire ulteriormente (da grattugia) oppure si ripone sotto vetro al naturale o con aromi (in dialetto tume ’n burnia). Stagionata per almeno un mese, grattugiata o spezzettata e posta in un vaso di coccio insieme a vino bianco secco, grappa, rhum o altri liquori, diventa Bruss (PAT), formaggio cremoso di lunga maturazione da gustare su pane casereccio.

 

Piatto:  BOLLITO ALLA PIEMONTESE

Descrizione: In un grosso pentolone con acqua poco salata vanno messe a cuocere carote, cipolle steccate con un chiodo di garofano, gambi di sedano, spicchi d’aglio interi, prezzemolo e pepe. Dopo qualche minuto di ebollizione si unisce la carne: pezzi di bovino (punta di petto, fiocco, biancostato, coscia, spalla, noce e sottopancia), meglio se di Razza Piemontese (Prodotto Agroalimentare Tradizionale e Presidio Slow Food), e una gallina ruspante, magari di Razza Bionda Piemontese o Bianca di Saluzzo (anche queste entrambe PAT e PSF). Vanno calati uno per volta per non far scendere di colpo il calore e la fiamma abbassata in modo che l’acqua continui a sobbollire. Se il livello si riduce tanto da non coprire interamente le carni, si aggiunge acqua calda. Per cuocere il tutto occorrono da due a tre ore e mezzo secondo i diversi tagli di carne, la cui cottura deve essere verificata di tanto in tanto perforando ogni pezzo con il forchettone ed estraendolo quando le punte lo trapassano con facilità (la gallina è pronta quando la polpa si stacca dalle ossa). La lingua e il cotechino sono intanto bolliti separatamente, ciascuno in una pentola e sempre insieme ad aglio, cipolle, sedano e carote. I pezzi di carne vanno serviti estraendoli dal loro brodo caldissimo solo al momento di tagliarli e consumarli. Tre le salse di accompagnamento, tutte riconosciute come Prodotto Agroalimentare Tradizionale: la Cognà (o Cougnà o Mostarda d’uva), il Bagnet ros (o Bagnet ‘d tomatiche) e il Bagnet verd. Creata nel Medioevo per utilizzare i piccoli grappoli acerbi non idonei alla vinificazione, la cognà è una salsa di grande attualità perché ben si presta agli abbinamenti della cucina moderna, per esempio ai formaggi freschi e stagionati. È simile alla Saba (PAT) emiliana e si prepara ancora come un tempo, facendo sobbollire insieme al mosto d’uva di Nebbiolo, Uva fragola, Moscato, Barbera o Bonarda gli ingredienti che la terra offre nella stagione della vendemmia: pere Madernassa e Martin Sec, gherigli di noci, Nocciole Tonde Gentili, mele renette e mele cotogne. La preparazione del bagnet ros inizia con un soffritto morbido – in olio extravergine ligure – di cipolla, aglio, sedano, carota e peperoncino, cui si aggiungono pomodori maturi (c’è pure una versione con abbondante peperone dolce). Prosegue con una lunga cottura e l’aggiunta di sale, aceto bianco e zucchero. È da provare anche semplicemente sul pane o con il polpettone ricavato dallo stesso impasto delle grive (polpette di fegato e salsiccia macinati insieme a bacche di ginepro, avvolte nella rete di maiale e cotte nel burro). Per il bagnet verd, infine, si bagna con l’aceto della mollica di pane che va poi tritata insieme a prezzemolo, aglio e acciughe. Quindi si mescola con olio extravergine d’oliva, sale e pepe e si fa riposare prima di servire in tavola.

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